Si dice di lui che abbia la capacità di progettare scenari e quasi di far accadere le cose. Lui stesso è convinto che il primo imperativo di un imprenditore sia non smettere mai di sognare. I fatti gli hanno dato ragione.
Nel 2013 rileva Somec, società con sede a San Vendemiano (TV) sull’orlo del baratro. In un solo anno la riporta a galla, aggiungendo al suo core business – la vetratura delle navi da crociera – la progettazione delle loro cucine industriali e degli interni.
Il Tipo Tosto è Oscar Marchetto, nato nel ’64 a Ponte di Piave (TV), solide origini contadine, imprenditore illuminato, visionario e appassionato di viaggi, che nel giro di pochi anni crea un impero. Come scrive Andrea Bettini, narratore d’impresa, nel libro “Non smettere di mai di sognare” (FrancoAngeli), dedicato ad un tecnico, imprenditore con il grandissimo fiuto per l’avvenire, capace di cambiare pelle e reinventarsi in poco tempo.
Un esempio? Oscar rileva società e start up contigue – più di 30, come Fabbrica, che realizza le facciate dei grattacieli a Manhattan – e diversifica l’offerta: grandi navi, facciate di edifici civili, cucine industriali, interni personalizzati.
Oggi è presidente e amministratore delegato di Somec gruppo, società in cui è entrato come azionista nove anni fa e che ha rilanciato in tempi record. Tanto che oggi Somec è una realtà internazionale, quotata in Borsa italiana, che ha chiuso il 2021 con oltre 250 milioni di fatturato.
Le aziende del gruppo sono specializzate nel glazing navale e civile, nei sistemi e prodotti per cucine professionali destinate all’alta ristorazione e nella creazione di interni di pregio su misura.
Nel 1991, a 27 anni, è stato tra i fondatori di Nice, società di cui è stato azionista per oltre venti anni, ricoprendo i ruoli di Responsabile Ricerca e Sviluppo e Direttore.
Nice Group, azienda di domotica, è stata vincitrice di un Compasso d’Oro.
Il sogno di Oscar oggi si chiama Mestieri, un incubatore di tanti artigiani del saper fare italiano dai marmi ai legnami, dai tessuti al pellame agli acciai. I Mestieri li mette in rete per farli conoscere. https://www.mestierigruppo.com/
Oltre alle sue qualità visionarie, Oscar, di origini contadine, è un imprenditore che interpreta al meglio la modernità di questo ruolo: dallo stile di direzione, alla scelta del management e dei collaboratori, al rapporto con la finanza. Il segreto del suo successo? “Essere credibili, per ispirare, coinvolgere e soprattutto fare”.
Lo volete conoscere? In questa chiacchierata per Tipi Tosti, c’è molto della sua identità e non solo professionale: curiosità, velocità, strategia, desiderio di crescere, capacità di affidarsi agli altri, quindi delegare per astrarsi e progettare nuovi scenari.
Ci racconti di lei.
Ho frequentato la scuola professionale Lepido Rocco a Motta di Livenza (Treviso). Ero portato per le materie tecniche e l’elettronica, ma mi appassionava la geografia perché ho sempre considerato il viaggio come una dimensione naturale, un’università dell’esperienza. Lo spazio del viaggio non racchiude solo il movimento fisico, consente di arricchirsi attraverso l’incontro e il confronto fuori dalla propria zona di comfort. Per questo, nel libro Non smettere mai di sognare, mi rivolgo soprattutto ai giovani, invitandoli a mettersi in viaggio per misurarsi prima di tutto con se stessi.
Cosa sognava Oscar da ragazzino?
Da bambino ero appassionato di pesca. Non poteva che essere così. Sono cresciuto sulle rive del fiume Piave, in un paese del Trevigiano, Ponte di Piave, appunto, che prende il nome dal corso d’acqua. Sono figlio di contadini, papà Romano, mamma Maria Luisa, e due sorelle Ornella e Bertilla. Il principale ricordo dell’infanzia è il piacere di camminare a piedi scalzi sull’erba, apprezzando l’economia di autosufficienza che la campagna sa garantire: gli animali della fattoria, la stalla e la cucina povera, ma genuina con i prodotti che la terra regala, se le si donano amore e attenzione. Nascere in questo contesto mi ha insegnato il valore concreto delle cose semplici senza farmi rinunciare alla prospettiva di un futuro bello per me e le persone a cui voglio bene.
Come è diventato imprenditore?
Merito della mia scuola superiore che aveva pochi fondi per sistemare uno dei laboratori. Durante le vacanze estive, una volta detti la disponibilità a ripararlo. Ciò non mi garantì un ritorno economico, ma tanta stima da parte di preside e professori. Ho fatto poi il militare anche per guadagnare qualcosa. Tornato a casa, feci la prima esperienza lavorativa come responsabile tecnico al fianco di un grande inventore e imprenditore illuminato, Piero Girotto, che aveva fondato un’azienda legata all’elettronica. Negli anni questa realtà, pur qualificata, aveva davanti a sé più interrogativi che certezze. Quello è stato il momento in cui mi sono detto: Perché non fare qualcosa di nuovo? Da questo stimolo è nato il legame con Lauro Buoro. Con lui ho avviato un’esperienza lavorativa per conto terzi nel settore, che poi ci ha portati all’avventura in Nice, di cui sono stato socio fondatore.
Nel 1991 a 27 anni. Lo dice nel libro. Ma perché poi ha lasciato Nice per dedicarsi a Somec?
Come in tutte le esperienze della vita, si è chiuso un capitolo e ne ho aperto un altro. Dopo anni di soddisfazioni, culminati con la quotazione in Borsa che è valsa una raccolta di oltre 500 milioni di euro e un’espansione in tutto il mondo, era arrivato il tempo di cambiare. Se penso al momento dell’addio, provo dispiacere, ma non mi sono mai pentito, visto che il mio orizzonte è sempre e comunque il futuro. Di cose da fare ce ne sono sempre tante.
Credibilità, fiducia, vision, leadership, capacità di delega per continuare a sognare e far accadere le cose: le sue caratteristiche. Ma sono anche quelle della maggioranza degli imprenditori italiani?
Credo che l’Italia sia piena di bravi imprenditori che cercano di fare del loro meglio per far sì che il nostro Paese continui ad essere la patria del bello sotto tutti i punti di vista. Credo di essere un tassello di questo progetto che racconta la rinascita, la ripartenza, il continuare a mettere in circolo energie e visioni. Guardando alla terra da cui provengo, il Nord Est, credo che qui, pur di fronte a un tessuto produttivo straordinario, ci sia ancora troppa difficoltà a fare squadra, superando la logica dei campanili. Su questo aspetto altre aree del Paese fanno scuola.
Il suo modello di imprenditore?
Più che ad un imprenditore, mi ispiro a un modello imprenditoriale, cioè a quello anglosassone. Questo ti insegna a guardare alla tua azienda non come a un qualcosa che ti appartiene in via esclusiva, ma come ad una realtà aperta, dove proprietà e gestione sono separate. Tale aspetto permette di non affossarsi sul quotidiano e investire continuamente nella crescita, che richiede competenze specifiche.
Visto che vede oltre, come sarà l’imprenditore del futuro?
Penso che debba fare squadra, ascoltare le proprie intuizioni e far sì che sogno e passione vadano a braccetto per trasformare le idee in progetti concreti. In tutto ciò è fondamentale cambiare il punto di osservazione, mettersi sempre in discussione, non farsi limitare dalle incombenze quotidiane e guardare l’azienda dall’alto per vederla nella sua interezza e poter scegliere con i tuoi collaboratori la strada più efficace.
Quali saranno di qui a una decina d’anni i settori su cui puntare?
Più che di settori, parlerei delle modalità che continueranno a fare la differenza, oggi come negli anni a venire, soprattutto nella produzione della manifattura italiana d’eccellenza. Artigianalità e manualità, applicate a tutto ciò che non si può fare solo con le macchine e l’automazione, saranno il lievito del futuro, l’ingrediente capace di fare la differenza sia per chi produce ed è chiamato ad applicare la maestria del saper fare, sia per chi progetta e acquista con occhio attento al bello e al ben fatto. In tal senso il mio impegno di imprenditore va in questa direzione.
Un settore ormai al tramonto?
A mio avviso tutto ciò che è superfluo è destinato a tramontare. In futuro ci sarà meno tempo libero e quindi il tempo assumerà un valore ancor maggiore nella vita di ogni persona. Bisognerà quindi concentrare i propri interessi e le proprie attenzioni verso l’essenziale basato sulla qualità di ciò che si sceglie, ma anche sulle relazioni interpersonali e sulle esperienze di accrescimento individuale e collettivo. Coltivare questo slancio significa orientare lo sguardo in avanti.
Un consiglio concreto agli imprenditori che ci stanno leggendo? Mi dirà di non smettere di sognare, ma lei sa benissimo che non tutti i sogni si avverano.
Per me il sogno è tutto, non è un autoinganno. Poi è chiaro che è sempre una questione di credibilità per la quale non c’è un’unità di misura. La credibilità va conquistata con il tempo, le azioni, la coerenza e tutto ciò pienamente. È chiaro che i sogni vanno realizzati e senz’altro non è magia, ma questione di capacità, andando oltre i luoghi comuni, progettando scenari e attorniandosi di persone straordinarie con cui realizzare il sogno.
Il sogno che vorrebbe realizzare?
Il mio sogno più importante oggi è Mestieri, la nuova società parte del gruppo Somec di cui sono presidente, nata come realtà capace di integrare il meglio del saper fare italiano. Gli obiettivi sono ambiziosi, ma continuare a sognare e a credere in quello che facciamo ci permetterà di realizzarli.
Come vorrebbe essere ricordato?
Non ci penso mai, mi piace pensare al presente e soprattutto al futuro. Il qui e ora e il domani sono le due dimensioni che accolgono la mia quotidianità e la sua proiezione in avanti. Un percorso in continuo movimento, quale a mio avviso dovrebbe essere l’avventura della vita.
L’errore che ha commesso?
Non parlerei di errore, piuttosto di un rimpianto: non aver fatto dieci anni fa quello che sto facendo ora.
I periodi più tosti, come li ha superati?
Capendo e controllando le mie insicurezze, ascoltando il consiglio degli amici. E poi ci vuole coraggio sempre. Solo così riusciamo a intravedere oggi ciò che possiamo diventare domani.
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