Business Celebrity Builder o Personal Brander?
Non lasciatevi ingannare dai nome inglesi. A dispetto dell’apparenza, si tratta di una figura professionale nata in Italia per merito del siciliano, Gianluca Lo
Stimolo, classe ’75, trapiantato a Milano.
Nel capoluogo lombardo – dove si è stabilito all’età di 18 anni dopo la maturità classica conseguita a Mistretta, nel Messinese, suo comune d’origine – è CEO & Founder dell’agenzia “Stand Out”, oltreché socio e Marketing & Communication Manager per HRD Training Group.
Laureato in Relazioni Pubbliche alla IULM, Lo Stimolo è diventato esperto in strategie di marketing e comunicazione applicate alla formazione e allo
sviluppo delle risorse umane. La sua fortuna è stata conoscere nel ’95, a 19 anni,
Roberto Re https://robertore.com/
“Durante il corso di laurea – spiega Gianluca – ho seguito i corsi per potenziare la memoria che teneva nella sua azienda, dove poi sono entrato per uno stage e rimasto. Era diventata nel tempo la mia seconda famiglia. Lì ho creato la figura del responsabile delle relazioni esterne, poi del direttore marketing, successivamente sono diventato socio”.
Nel ’99 Re si separa dai suoi soci e Gianluca decide di
restargli accanto. Inizia un percorso nuovo. “Da quel momento, una sorta di illuminazione: inizia a venirmi spontaneo applicare ogni strategia di comunicazione, che apprendevo, alla figura di Roberto Re. Non sapevo si trattasse di personal branding, termine nato solo due anni prima, nel ’97 e negli Stati Uniti. Qual era la novità? Cominciamo a capire quanto sia più
importante comunicare, far conoscere la faccia di un imprenditore, anziché il suo prodotto o il suo servizio. Ancora oggi Roberto è più noto della sua azienda. E il
anche per il suo cognome, poi, è sempre stato un Re: nel suo nome, il suo destino”.
Da questa esperienza nel 2014 nasce la Stand Out, la prima società di servizi integrati di personal branding, una realtà unica “perché – spiega Gianluca- non ci sono agenzie che abbiano studiato un protocollo come abbiamo fatto noi e che sappiano applicarlo dalla A alla Z. Sul mercato si trovano solo frammenti del processo che serve a costruire un brand personale: quelli che si occupano di web reputation, che è un pezzetto del personal branding, quelli che fanno digital branding, altro pezzetto della stessa branca, i consulenti d’immagine, ma non esiste chi curi l’intera filiera, che va dal sito internet, ai social, all’ufficio stampa, al piano editoriale, alla ricostruzione del look, quindi ai servizi fotografici, alla realizzazione di un libro, partendo dal passato del cliente, dalle sue conoscenze e dai suoi punti di forza. Di personal branding oggi si parla molto. In tanti stanno provando a battere questa nuova strada, ma sul mercato si trova solo il consulente o il formatore, figure che non erogano servizi né hanno una strategia unica e personalizzata utile ad un posizionamento distintivo del cliente, come la nostra ”.
Intanto, di preciso, cosa significa fare personal branding? “Significa – ci dice – creare una forte associazione tra una competenza rilevante per un pubblico e la propria persona al punto da essere considerati la scelta numero uno in quel preciso campo. Prendiamo il campo dell’arte, come esempio. Chi ci viene in mente come critico numero uno? Semplice: Vittorio Sgarbi. Lui è un esempio di chi è riuscito a crearsi l’immagine dell’esperto senza concorrenti. Fare personal branding è la via perché il tuo cliente sia scelto immediatamente. E il discorso si può in teoria applicare a imprenditori, liberi professionisti, quindi a
chi vende un servizio, un prodotto. Per far capire meglio, mi piace citare Jeff Bezos, Ceo di Amazon, quando dice che personal brand è ciò che dicono di
te, quando non sei nella stanza”.
Ma come si fa, tutti possiamo diventare degli Sgarbi? E alla fine, è solo un maquillage, un rendere più bello, accattivante un personaggio?
“Come dicevo – replica – c’è un protocollo, una serie di passaggi da seguire con attenzione. Ma prima di ogni altra cosa è importante che il cliente scelga in
modo netto cosa vuole essere. Il messaggio non deve dare spazio a fraintendimenti e deve essere coerente nel tempo. Per promuovere al meglio se stessi e in modo professionale, dunque, serve coraggio. E’ molto difficile lavorare con gli artisti perché hanno un’indole fortemente incline al cambiamento
continuo”.
Si inizia con un lavoro di scavo. “Partiamo – afferma – da un’analisi del passato, dal know how del nostro cliente, che magari in un certo ruolo o in un certo contesto aziendale, non è mai stato considerato. Per questo nel 30 per cento dei casi il nostro cliente può ritrovarsi a cambiare lavoro. Per esempio, siamo abituati a pensare al manager in un solo modo. Raramente distinguiamo il suo ruolo dal metodo di lavoro. Se imparassimo a fare una differenza tra i due aspetti, sapremmo che esistono anche il fractional manager oppure il temporary manager”.
Un caso di cui andate fieri? “E’ quello dell’amministratore del condominio felice – ci dice- In genere associamo a questa figura il conflitto, le liti. E’ una figura odiata. Dopo aver fatto studi, abbiamo compreso perché nelle riunioni condominiali, così
come quando ci troviamo in macchina accanto a persone poco conosciute, in ambienti stretti, scattino una sorta di intolleranza, una certa propensione, appunto, al litigio. Bene. Ad Ancona abbiamo creato una figura nuova, partendo dalla professionalità di un amministratore di condomini. Il nostro cliente aveva
attitudini alla risoluzione dei conflitti, che non aveva mai sfruttato. applichiamo una sorta di arte della maieutica. Siamo riusciti a creare l’amministratore del condominio felice. Con il nostro aiuto il cliente ha iniziato a pensare a come mettere pace tra i condomini. Si è inventato feste, incontri sportivi, momenti di giardinaggio comune per farli conoscere. Alla fine, si è trasformato in una sorta di
psicoterapeuta di inquilini oltreché di amministratore”.
Per ricapitolare, aiutate il vostro cliente a dare un messaggio univoco, a fargli capire che l’identità comunicativa deve essere chiara. Stesso colore, stesso
slogan, un look che può cambiare anche con accessori, ma che non deve essere stravolto. Ma così non si rischia di far perdere autenticità ai clienti? “Ma no –
risponde – li rendiamo consapevoli delle proprie potenzialità e li aiutiamo a valorizzarle”.
Le più grandi soddisfazioni per i due soci sono arrivate da professionisti del mondo dei servizi, quelli con competenze alte, ma scarse capacità di
comunicazione. I clienti della Stand Out arrivano da tutta Italia, ma anche dall’estero: Germania, Stati Uniti, Cina, Romania. Al 60 per cento sono uomini, al
40 donne. L’età media si aggira sui 45 anni.
Una cinquantina le persone a cui Stand Out dà lavoro. “Le cose stanno andando bene – conclude Lo Stimolo – Forbes ha indicato la nostra attività come la nuova frontiera del giornalismo e una delle attività più forti del futuro. Fino ad ora c’è ben poco in Italia, dunque, partiamo in vantaggio. Abbiamo fondato anche una Accademia http://www.personalbrandingacademy.it/. In futuro?
Sto lavorando ad un nuovo libro e pensiamo di creare
nuove testate giornalistiche”.
bellissima storia quella di Gianluca