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La Rete per resistere al Covid19. Gli esempi delle pmi Daje shop e Apartments to art

In Italia alcune piccole imprese non l’hanno data vinta al lockdown. Anzi, nel pieno rispetto delle regole, si sono reinventate, ripensando il loro modello di business. Ad aiutarle, c’è stata la Rete.

A certificarlo, una ricerca #RestartItalia,
realizzata dalla community wwworkers.it con l’ impresa innovativa Tree in partnership con AGIA Associazione Giovani Imprenditori di CIA-Agricoltori Italiani e GammaDonna, su un campione di oltre 400 piccole e medie aziende, professionisti, artigiani e agricoltori.

«Nella nuova normalità, dettata dall’emergenza Covid-19, che riscrive abitudini e relazioni – spiega Giampaolo Colletti,  fondatore della job community dei lavoratori della rete wworkers.it – il digitale diventa un moltiplicatore di opportunità, non più un elemento accessorio. Un valore aggiunto nel fare impresa, centrale nella riorganizzazione della filiera, nella ridefinizione dei processi, nella riscrittura di narrazioni, nel ripensamento dei mercati. Anche perché nel nuovo tempo del distanziamento sociale gli smartphone diventano nuovi compagni di viaggio e acquisto».

Dallo studio vengono fuori questi dati: il 31% ha mantenuto soltanto alcune linee di produzione, il 16% ha riconvertito con uno specifico prodotto o servizio la propria filiera, generando un cambio del modello di business. Ma a fronte di un 24% – che non ha subito cambiamenti – spicca un 27% che ha dovuto chiudere l’azienda, adeguandosi alle restrizioni normative. 

Oltre il 70% degli imprenditori intervistati è concorde nel ritenere che innovazione e digitalizzazione sono gli ingredienti fondamentali che hanno permesso alla propria azienda di fronteggiare l’emergenza. 

Ciò che emerge è un cambio di utilizzo dei canali di comunicazione. E di conseguenza, di vendita. Così è stato per il 42% degli intervistati, con la scelta prevalente di abbracciare i social media (87%).

Esempi concreti di realtà resilienti grazie ad Internet? Daje shop e Apartments to art.

Il primo è un piccolo Amazon nato per aiutare il commercio del quartiere Monteverde di Roma. L’idea – con un nome che evoca, appunto, la capacità di resistere- è di Jacopo Gambuti, Alessandro Zonnino e Matteo Proietti (in foto). “Nicola Mattina, docente universitario di innovazione e product management all’Università Roma tre – spiega Jacopo- è il nostro advisor. Ha condiviso nella primissima fase il progetto, supportandoci nelle prime settimane. Agli inizi abbiamo testato l’idea di business, pubblicando sui gruppi whatsapp del quartiere l’idea che avevamo in mente e cioè, aprire un piccolo amazon locale. Abbiamo avuto centinaia di commenti positivi e richieste di apertura. Così abbiamo scelto di dare vita ad un sito con WordPress che permettesse ai clienti di effettuare degli ordini online. Dal 2 aprile scorso, giorno in cui abbiamo messo online la piattaforma, sono piovuti tanti ordini. Nel frattempo è cresciuto il numero dei negozianti che volevano essere coinvolti. Oggi gestiamo centinaia di ordini mensili per il quartiere di Monteverde e come obiettivo a breve termine abbiamo in mente di realizzare un’applicazione che possa permettere di inviare i propri ordini in una modalità coinvolgente e basata su piccoli video e foto. La mission di tutto il progetto è aiutare l’economia dei singoli quartieri mettendo in collegamento il piccolo esercente con i clienti. Diventeremo un punto di riferimento per il commercio online di prossimità.

Come funziona? Il cliente sceglie il negozio e compila una lista della spesa. Il gruppo di daje.shop verifica la lista con il cliente e la manda al negozio, che prepara il pacco e comunica l’importo via Whatsapp. Daje invia al cliente un link per pagare con carta di credito e avvisa che la spesa è in arrivo. Quest’ultima è spedita a domicilio dal commerciante. In futuro si pensa di ampliare il servizio di Daje, che agli inizi ha coinvolto sei negozi – ad altri quartieri della capitale.

Apartments to art è, invece, un’idea di Roberta Balotti (’68, Follonica- Grosseto), una stilista che ha cambiato più lavori dall’età di 20 anni e che per l’emergenza Covid19 ha pensato di dare in fitto ad infermieri i suoi due appartamenti a Torino in cambio di cifre simboliche.

“Sono una resiliente – afferma – amo le sfide e questo virus mi ha dato l’opportunità di reinventarmi, ma soprattutto di aiutare chi si trova in difficoltà. Ho due mini appartamenti, a pochi metri da uno degli ospedali della città in un palazzo storico, che l’anno scorso ho preso in fitto. E’ successo dopo una malattia che mi ha costretta a cambiare vita”.

Roberta ha iniziato a lavorare come stilista, ha lavorato in un atelier per tre anni, poi ne ha creato uno suo, sempre a Torino, a 23 anni, con una sua amica, Claudia, che ha tenuto per dieci anni. Dopo aver lavorato anche in un negozio di giocattoli e per un’azienda di gioielli, ha deciso di buttarsi sull’affitto per l’affitto. https://www.apartmentstoart.it/

“Torino non ha una grande vocazione turistica – afferma – eppure è una città ricca di storia e cultura. Nel brand che ho inventato, c’è il richiamo all’arte. Superata l’emergenza sanitaria, vorrei subaffittare gli appartamenti a chi vorrà visitarla, come facevo prima del Covid. Negli ultimi due mesi ho lavorato sodo e ho raggiunto ottimi livelli di reputazione. Dunque, oggi affitto in cambio di qualche decina di euro per aiutare chi per il Covid non può tornare a casa, domani per aiutare questa bellissima città a farsi conoscere.”

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