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Parlami e ti dirò se sei ansioso, depresso o dopato. La ricerca di Giovanni Saggio, ingegnere

Sapere se hai un soffio al cuore, una polmonite, un inizio di Parkinson, Alzheimer, Sclerosi amiotrofica laterale, depressione, ansia, o ancora, se hai fatto uso di dopanti, o se il tuo bambino piange per una colica o perché vuole coccole, in futuro, sarà sempre più una questione di orecchio.

Ad annunciarlo Giovanni Saggio, 59 anni, romano, ingegnere, docente all’Università Roma Tor Vergata, alla guida del progetto Virtual Human Simulator, che spiega:“Grazie a vari tipi di sensori, se ne contanomigliaia, interni al corpo umano, quindiindossabili, invasivi (ingeriti o innestati coninterventi chirurgici) – o presentinell’ambiente, riusciamo ad estrapolarealcune informazioni su un determinato organoo un apparato che, attraverso l’IntelligenzaArtificiale, trasformiamo in diagnosi. E’come se utilizzassimo delle radiografie che,però, non hanno controindicazioni”.

Ma come funzionano i sensori? A sentire il docente, per capirlo dovremmo ricorrere all’immagine di un radar e alle onde elettromagnetiche che emette. A seconda di come tornano indietro, si ha un suono e quindi un determinato risultato. Per avere una diagnosi precisa si incrociano vari dati, con la supervisione di medici e il supporto dei sistemi tradizionali. Che possono essere i raggi x, la risonanza magnetica, la tac. E questo perché l’indagine cambia e richiede strumenti diversi a seconda che si tratti del soffio al cuore, una frattura del femore o una gastrite”.

Il nuovo progetto (lanciato a Lisbona in un convegno internazionale a febbraio scorso) è più ampio e comprende anche l’altro più datato, che si chiama VoiceWise, per il quale il docente ha ottenuto nel 2014 il brevetto (dopo esperimenti iniziati nel 2009 su pazienti indiani con febbre gialla e tubercolosi), oggi sfruttato dall’omonima azienda VoiceWise, spin off dell’ateneo.

“Analizzando le 6300 caratteristiche della voce – ancora il professore – che riguardano il parlato, i colpi di tosse, il respiro, e misurando con algoritmi il suono che se ne ricava, siamo in grado di dire se un paziente ha patologie non solo legate all’apparato fonatorio, quindi a polmoni, trachea, laringe, faringe, cavo orale, cavo nasale, corde vocali (per esempio, il Covid), ma addirittura malattie cardiache, neurologiche, muscolari.

Un paziente con il CHD respira in modo affannoso. Ricordiamo le voci in falsetto di un Pino Daniele o un Massimo Troisi alla fine della loro vita. Un malato di Alzheimer o Parkinson comincia a dimenticare le parole e a mettere maggiori pause tra una parola e l’altra, a tenere più sostenute le vocali. I risultati delle nostre analisi hanno un’attendibilità che varia tra il 90 e il 95 percento. Siamo stati in grado di diagnosticare il Covid in centinaia di pazienti in tre ospedali (il Policlinico Tor Vergata, Ospedale dei Castelli, ospedale di Pavia)”.

L’analisi della voce, secondo l’esperto, potrà servire anche ad aiutare le mamme a distinguere il pianto del loro bambino- che può essere a singhiozzo o intermittente, a seconda che sia scatenato da coliche o fame- e nell’ambito sportivo per individuare chi fa uso di sostanze dopanti.

“Il ricorso al doping – chiarisce l’ingegnere – non è altro che una somministrazione di ormoni che rende le voci più mascoline o femminili”.

Prossimi step? Saggio e il suo gruppo pensano di concentrarsi sui mood, depressione e ansia. “Chi è depresso – dice – non parla come un euforico, trascina le parole, fa più pause. Stiamo lavorando già con psichiatri e psicologi”.

Insomma, più che l’occhio clinico, servirà un orecchio clinico. “Del resto – conclude- il medico appoggiava il suo orecchio sulla schiena o sul cuore per determinare una polmonite o un soffio al cuore. Oggi lo dotiamo di supporti ulteriori per una diagnosi più attendibile”.

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