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“Dovremo imparare a convivere con la piccola distanza fisica. Che non è sociale”. Intervista con Cleto Corposanto, sociologo della salute

“Ripartire sì, ma con ragionevolezza. Ci vuole calma.  Che vuole dire non forzare le situazioni. Purtroppo ci troviamo – tutti – in una condizione che si può definire lose-lose: qualunque decisione si prenda – e chiunque la prenda – è prevista una perdita. Ci sarà sempre qualcuno più scontento di altri. Da un lato la salute pubblica, dall’altra, l’economia. Ma deve essere chiaro un dato: si tratta di un evento eccezionale. Ci vuole cautela perché questo virus, dal punto di vista sanitario, ha dato ampie dimostrazioni di pericolosità reale, mettendo a nudo i grandi limiti di un sistema sanitario nazionale troppo rimaneggiato negli ultimi tempi. E siccome si tratta di un evento eccezionale, si dovrà pensare, in termini economici, a risposte nuove”.

A parlare è Cleto Corposanto, barese, classe ‘54 docente di Sociologia della salute all’Università di Catanzaro, che in questi giorni sta lavorando ad un libro di prossima uscita sul ruolo della sociologia rispetto al Covid19 e che alle pressioni di molti per una ripartenza veloce risponde invitando alla ragionevolezza.

Professore, dunque, bisogna essere cauti. Ma l’economia sprofonda!

E’giusto ripartire, ma tenendo bene a mente che un minimo errore può costare carissimo: in termini di ulteriori vite umane e anche di retrocessione economica. Quindi no alle decisioni di pancia. Sì alla ragionevolezza e grande fiducia nella scienza che, in fondo, è quella che ha sempre risolto al meglio i gravi problemi dell’umanità. Con un’ulteriore precisazione: nella fase 1, quella strettamente sanitaria, era giusto affidarsi ad un comitato scientifico sanitario. Oggi – con il consulto di specialisti – meglio rimettersi alle decisioni condivise, anche se dibattute, in Parlamento, che resta il posto in cui la politica deve assumersi le proprie responsabilità. Con l’auspicio che si lavori per uscire dall’emergenza e non per proprio tornaconto. Nello stesso tempo vanno ripensati strumenti di welfare solidale che non facciano sprofondare il Paese ancora più in basso.

Ma un isolamento lungo non potrà arrecare danni notevoli alla salute psicofisica con costi anche economici notevoli?

Intanto chiamiamo le cose con il loro nome: quella che stiamo attuando la chiamano distanza sociale – è il gergo degli epidemiologi- ma in realtà è una distanza fisica, misurabile, misurata (1metro, 2, 4 o 8 a seconda delle interpretazioni). Il concetto di distanza sociale in Sociologia è totalmente diverso, e se chiamiamo quella fisica sociale e poi lanciamo lo slogan uniti ce la faremo in realtà parliamo di un ossimoro. Dobbiamo stare fisicamente lontani, perché il virus non ci infetti, ma dobbiamo fare rete e favorire quella prossimità sociale che consenta di costruire gli strumenti di welfare solidale di cui tutti abbiamo bisogno. Per quello che riguarda le ripercussioni dell’isolamento sulla salute psicofisica non sono uno specialista. Ma i miei amici psichiatri mi dicono che prevedono un aggravarsi di molte situazioni in pazienti fragili o in persone in condizione di fragilità psichica. Ricordiamo che per l’OMS lo stato di salute prevede un completo benessere bio-psico-sociale. Oggi siamo molto concentrati sul bio, ma nella fase 2 e seguenti dovremo prestare più attenzione ai danni psico-sociali di CoVid19. Venendo alla sua domanda, sarebbe salutare uscire da questo isolamento con consapevolezza e i dispositivi di protezione. Dal momento in cui saremo più liberi di circolare la responsabilità sulla nostra e la salute di altri ricadrà anche e soprattutto sui nostri comportamenti individuali. Per questo io sono in linea di massima favorevole al tracciamento. Intanto perché abbiamo esperienze precedenti – la Corea del Sud su tutte –e poi perché secondo me aiuta nei comportamenti virtuosi di cui tutti abbiamo bisogno. Non capisco, in verità, i tanti dubbi che vengono manifestati: diamo valanghe dei nostri dati on line al mondo intero quando navighiamo, chattiamo online, facciamo acquisti, prenotiamo vacanze e viaggi, postiamo foto e tweet e dovremmo farci problemi di privacy quando ci viene richiesto uno sforzo per salvaguardare la nostra salute?  Sono contento che ieri sera si sia fatto un passo avanti rispetto all’App Immuni, visto che nel Consiglio dei ministri si sono stabilite le regole su come farla funzionare.

L’ipotesi di lasciare gli anziani a casa anche dopo l’autunno è verosimile e sarebbe utile?

No, assolutamente no. Quello che è successo alle fasce di popolazione alta è attribuibile, per lo più, a gestioni sbagliate delle procedure, in piena emergenza, nelle RSA. Gli anziani, come tutti, hanno bisogno di aria, luce, sole e socialità, limitata, ma presente, come tutti. Non creiamo ulteriori ghetti mentali.

Quali potrebbero essere le attività non proprio essenziali da lasciare per ultime? Andare in Chiesa e fare la comunione è da considerare improrogabile?

Si devono lasciare per ultime tutte quelle che prevedono assembramenti naturali. Nessuna è inutile, perchéciascuna attività tocca lavoro, vita, relazioni di centinaia di migliaia di persone. Ma certo andare ateatro, cinema, allo stadio, a scuola e in Università come si faceva prima per ora è impensabile.Bisogna arrendersi all’evidenza: così vicini, per molto tempo, non sarà possibile stare. E questocrea ovviamente problemi di turnazioni, alternanze, riduzione dei posti disponibili. Inchiesa? Dipende. Purtroppo il virus non fornisce immunità predefinite: quindi, se si riesce adandare in Chiesa e comunicarsi rispettando le regole e le distanze, si può fare. Altrimenti, la vedocomplicata.

Perché secondo lei in Italia abbiamo avuto un numero così elevato di morti? E perché concentrati in Lombardia Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna? Solo perché lì c’erano maggiori scambi commerciali con la Cina?

L’andamento del numero dei contagi è stato veramente diseguale sul territorio nazionale. Abbiamo avuto molti morti, troppi.  Non voglio entrare nel merito di polemiche politiche che pure ho sentito a iosa in questi giorni. Ma qualche considerazione si può fare. Credo che quanto accaduto abbia evidenziato bene alcune cose. Il nostro sistema sanitario regionale, in alcune regioni, è collassato. Forse perché non era pronto per quei numeri, probabilmente a causa di una progressiva diminuzione dei fondi destinati alla sanità, ma anche per alcune scelte precise: quelle di puntare sul contrasto alle cronicità, da un lato, e alle iperspecializzazioni, dall’altro. Si è fatto spesso uso di convenzioni con il privato accreditato. Lo smantellamento dei presidi territoriali, di una medicina di base che avrebbe potuto fare da campanello d’allarme sul diffondersi di strane cose, forse ha contribuito a quella situazione che abbiamo visto in alcune zone. Eppure i virus esistono da sempre, e soprattutto non arrivano a caso, all’improvviso. Da qualche tempo la scienza aveva messo all’erta sul possibile arrivo di quello che poi è stato CoVid19, ma nessuno ci ha fatto molto caso.

Poi?

Il virus è stato particolarmente presente in alcune zone. Oggi si stanno facendo studi sull’incidenza degli agenti atmosferici – quelli che genericamente indichiamo come inquinamento ambientale – dovuti soprattutto ai grandi insediamenti industriali e alla loro concentrazione sul territorio. Si vedrà se hanno giocato un ruolo importante nella diffusione di CoVid19 o almeno nel rendere più vulnerabili persone già indebolite da agenti inquinanti. Se sarà accertata una correlazione, se ne dovrà tenere conto.  Lo sviluppo economico-produttivo e, più in generale, quelle che chiamiamo modernizzazione e globalizzazione – pensiamo alle tipologie standardizzate dei consumi alimentari, per esempio – devono essere più rispettose del delicato equilibrio che lega gli esseri viventi sulla terra, virus inclusi, agli elementi naturali. Per questo le risposte anche scientificamente non possono essere monotematiche. Abbiamo bisogno del contributo di molti specialisti di diverse discipline. Problemi iper-complessi necessitano di risposte multidimensionali. In questo, forse, sta anche la risposta al Sud: il suo parziale arretramento dal punto di vista dello sviluppo industriale potrebbe aver giocato un ruolo di protezione.

Cosa resterà di questo periodo e come cambierà il nostro rapporto con la salute?

 Ci resterà, spero, una sana sensazione di fragilità. Ci resterà la consapevolezza che a volte correre non serve. Dobbiamo fare i conti con un equilibrio che è molto più complesso e da cui dipende la nostra stessa vita. Il rapporto con la salute? Non lo so. In genere tendiamo a rimuovere le cose che non ci piacciono, anche se sono convinto che questa idea della piccola distanza fisica come elemento protettivo ce la porteremo dentro per un po’. Con tutto quello che significa dal punto di vista dei rapporti sociali, in una cultura come la nostra così differente da quella asiatica e che prevede baci e abbracci.

Ci anticipa qualcosa del libro che sta scrivendo?

Stiamo scrivendo a più mani un volume che nasce dall’idea di discutere dell’apporto che la nostra disciplina, la Sociologia, può dare in questa emergenza. Ne abbiamo discusso un paio di volte in lezioni congiunte, convegni online e abbiamo deciso di uscire intanto con un e-book per fine maggio. Si chiamerà, credo, CoVid19: Le parole della sociologia, e affronterà molti dei temi affrontati in questa intervista. Credo serva una riflessione plurale.

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  1. Condivido. Spero che tutto questo non determini troppe depressioni, ma temo che è proprio quanto accadrà. Quanto a me, mi rendo conto solo ora di quanto amassi abbracci e strette di mano e serate in pizzeria, e pomeriggi allo stadio, o al mare, o in piscina. E, più in generale, il vivere insieme. Però anche io ho fiducia nella scienza. Ci fara’ uscire da questo brutto incubo.

    • Grazie. Purtroppo è vero. Alcune cose le abbiamo sempre date per scontate, come se fossero parte di una dote a costo zero. Non è così, purtroppo; ma torneremo ad essere felici, anche se un po’ diversi. Mi auguro.

    • Grazie. Sono convinto che i sociologi abbiano molte cose da dire – e da fare – in situazioni nelle quali l’organizzazione stessa delle nostre quotidianità viene stravolta a tutti i livelli immaginabili.

  2. È passato un anno e tutto ciò che il professore ha detto si è puntualmente rivelato corretto. Chissà come vedrebbe le cose oggi, un anno dopo.

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