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Ecco come ti smonto “l’Ebreo inventato”. Un libro per superare stereotipi e pregiudizi su questo popolo

Siete diversi”, “Il vostro è un Dio della vendetta, il nostro, uno dell’amore”, “Avete ucciso Gesù”, “Avete usanze barbare, come la circoncisione”, “Siete usurai”, “Siete chiusi, pensate solo ai vostri interessi, alle cose che vi riguardano”. E ancora, “Gli israeliani stanno facendo ai palestinesi quello che i nazisti hanno fatto agli ebrei”.

Quante volte abbiamo sentito parlare degli ebrei in questo modo? Considerati da molti all’origine dei mali dell’universo, gli ebrei vengono spesso raffigurati come artefici di complotti e sciagure.

La maggior parte di loro vive in società democratiche, nei Paesi occidentali godono di un riconoscimento sociale e giuridico. Eppure, nei loro confronti, persiste una grande ostilità.

E pregiudizi, allusioni, frasi offensive, affermazioni discutibili, da parte di risorgenti gruppi antisemiti e a volte di gente comune, determinano negli ebrei, anche in Italia, insicurezza e instabilità.

“Da qui il paradosso: da un lato sono cittadini a pieno titolo, dall’altro, soggetti in difensiva dal lavoro allo sport, dalle scuole all’università, alle sedi di dibattito politico”.

Così, Saul Meghnagi, curatore con Raffaella Di Castro del libro “L’ebreo Inventato – Luoghi comuni, Pregiudizi, Stereotipi” (Giuntina),  pubblicato di recente  con il sostegno dell’Unione delle Comunità Ebraiche e dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia.

“Il libro – ci dice Simone Santoro, Presidente dell’Unione Giovani Ebrei Italiani  – nasce dall’esigenza concreta e ricorrente di avere uno strumento che ci permetta di far fronte in modo adeguato ai preconcetti diffusi sugli ebrei e sul popolo ebraico. Questo libro è uno strumento educativo cruciale per raccontarci, ma è anche utile per formare noi stessi su alcune forme più peculiari del pregiudizio antiebraico, fortemente radicate nel tessuto sociale in cui viviamo”.

Nel lavoro, 312 pagine, gli autori provano a smontare l’immagine standard che abbiamo di questo popolo, divenuto orami il “nemico”. E lo fanno con l’urgenza di rispondere a sondaggi e numerosi studi, che parlano di un antisemitismo crescente. 

“E’ vero – si legge nelle Premessa di Gadi Luzzatto Voghera, Direttore del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – in Italia nel 2020, si è avviato un percorso di istituzionalizzazione dell’attenzione al fenomeno con la nomina di un Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. La docente Milena Santerini, designata a ricoprire questo ufficio, ha provveduto a istituire un gruppo tecnico composto da figure istituzionali e rappresentanti di quegli organismi che già da tempo si dedicano allo studio e al contrasto del fenomeno”.

Ma è sufficiente? E come si stanno organizzando negli Stati Uniti, in Francia, Germania, Canada, Belgio, Olanda e Argentina, nel Regno Unito, dove l’ostilità cresce e non solo in un milieu di destra, ma anche da parte di personaggi di sinistra, certo più radicale, alla Corbyn?

Cerchiamo di capirne di più con alcuni degli autori.

Intanto, quali metodi avete utilizzato? “Siamo partiti dall’attitudine profondamente anti-idolatrica della tradizione ebraica di pensiero e vita – risponde Raffaella Di Castro – Vi sono diversi nessi tra idoli (secondo il punto di vista ebraico) – e stereotipi: in entrambi i casi si tratta della sostituzione di caricature alla complessità del reale. Gli stereotipi così come gli idoli sono un rischio per ognuno di noi, nessuno ne è a riparo. Il vitello d’oro è stato infatti costruito dagli stessi ebrei e non dai pagani. Come spiega bene Primo Levi in I sommersi e i salvati, sono qualcosa di necessario alle nostre facoltà conoscitive, pratiche, psicologiche. Senza generalizzare e semplificare non potremmo comprendere i fenomeni, ma nemmeno parlare, pensare, agire. Non potremmo né orientarci né prendere delle decisioni, né identificarci come io o noi né differenziarci dagli altri. Il problema nasce quando queste esigenze soggettive, legate alle nostre limitate condizioni umane, vengono scambiate per dati di realtà e irrigidite in un sistema dogmatico di pensiero, giudizio e azione.  I maestri di Torà e Talmud sono consapevoli che qualsiasi idea di bene e giustizia sia a rischio di rovesciarsi in idolo, se smette di interrogarsi su ciò che la rende valida, applicabile, sensata e perfettibile nella storia umana. Contro questo rischio la Torà si munisce di molteplici strumenti di tutela. La Torà divina si completa solo nella relazione con le infinite interpretazioni e discussioni umane, all’interno di specifici contesti e casi individuali”.

Il divieto di idolatria è, dunque, al cuore dell’identità ebraica. E’ questo aspetto che potrebbe suscitare ostilità? “ Il modo in cui il popolo ebraico si definisce e si differenzia dalle nazioni pagane – continua Di Castro- potrebbe sembrare che crei un muro invalicabile tra “noi” e gli “altri”, quasi un conflitto di civiltà. Eppure, leggendo più attentamente i testi biblici e i commentari rabbinici, si scopre che l’identità stessa dell’ebraismo è concepita come uscita dall’ egocentrismo ed è internamente contaminata dalla relazione con l’altro.

Agli occhi di chi li attacca, proprio perché non venerano idoli, gli ebrei si sentirebbero superiori, gli “eletti da Dio”. E’ così?  “L’elezione del popolo ebraico -replica Roberto Della Rocca– è una questione connessa all’universalità dell’amore divino per le Sue creature e alla loro specificità. Che Israele sia “scelto” non significa che è o che ritenga di essere migliore degli altri. Anzi, l’Eterno lo ha scelto, in quanto più piccolo tra i popoli, per realizzare il Suo progetto a beneficio di tutta l’umanità. Fin dalla chiamata di Abramo – il primo che nella Bibbia è chiamato ivrì, ebreo- viene affermata una missione universale che passa inevitabilmente per l’elezione di un singolo: « Verranno benedette attraverso te (Abramo)tutte le famiglie della terra» (Genesi, 12; 3).

Quali sono le caratteristiche dell’anti- giudaismo di matrice cristiana? “C’è stato un momento in cui più il cristianesimo si rafforzava e si diffondeva – spiega Daniele Garrone – più diventava inquietante l’irriducibile alterità ebraica, basata sulle stesse Scritture di cui i cristiani si sentivano gli unici eredi legittimi. Questo ha favorito la costruzione di una visione stereotipata degli ebrei e dell’ebraismo, al centro del discorso cristiano, nella predicazione come nella teologia.  Al di là delle esplosioni violente, la raffigurazione polemica dell’ebraismo diventò parte integrante dell’identità cristiana – quindi dal bagaglio del cristiano “normale” – e gli ebrei diventarono una controfigura negativa, a sostegno del   trionfalismo Cristiano”  

Diffusa è l’idea che la nascita d’Israele, nel 1948, costituisca una concessione dovuta al senso di colpa per la Shoah. Come contropartita e risarcimento, l’Europa avrebbe dato ai sopravvissuti, la possibilità di costruirsi una comunità politica sulle terre altrui. È veramente così? E com’erano i rapporti, tra ebrei e arabi, prima che una parte della Palestina ottomana e poi britannica diventasse la sede del nuovo Stato ebraico? Secondo Claudio Vercelli “la nascita del movimento sionista che esprime le diverse posizioni relative alla costituzione di una nazione ebraica, con le sue istituzioni e il diritto all’indipendenza sovrana, risale alla seconda metà dell’Ottocento. I processi migratori nella Palestina ottomana, che dal 1917 in poi sarebbe diventata parte di un mandato britannico, si avviarono quindi almeno settant’anni prima dello sterminio nazista. Durante la Seconda guerra mondiale, l’insediamento ebraico si era trasformato in una realtà, significativa, essendosi dotata di sue istituzioni autonome. Nessun Paese europeo, come neanche gli Stati Uniti, si pose il problema di un qualche improbabile e inverosimile risarcimento nei confronti dei sopravvissuti alla Shoah. Proprio perché la storia della nascita dello Stato ebraico è il frutto di un lungo percorso, legato anche ai processi immigratori in quelle terre, è innegabile che molteplici furono le tensioni che si determinarono tra le comunità arabe locali e quella ebraico-sionista. Gli interessi si rivelavano spesso divergenti. Il confronto fu poi acuito dal violento rifiuto dei paesi arabi e musulmani, che compongono il Medio Oriente, di riconoscere una qualsiasi legittimità al nuovo Stato.

L’odio, scrivete, non nasce nel ’48, anno in cui si dà vita allo Stato d’Israele, ma è antecedente. Addirittura una buona parte dell’odio dei musulmani si fa risalire al 1798, con l’arrivo di Bonaparte in Egitto. Allora ci furono la penetrazione  fisica delle potenze europee nel mondo islamico e la loro interferenza più o meno invasiva o rapace. Ne beneficiarono gli ebrei e i cristiani. Non i musulmani. Inoltre con le idee dell’illuminismo, nel Medioriente sbarcarono anche i pregiudizi atavici contro gli ebrei. Insomma, tutta colpa di Napoleone? “Il sentimento antiebraico in terra d’islam – replica Fiona Diwan – viene da lontano e affonda le radici nella sottomissione giuridica – Dimma Millet– secondo cui ebrei e cristiani devono tributare ai musulmani il pagamento di una tassa, la gyza. Un disprezzo secolare che costituisce la base dell’attuale odio antiebraico. Con l’arrivo di Napoleone e le idee dell’Illuminismo accade qualcosa di impensabile: si capovolgono i rapporti di forza tra ebrei e musulmani. Gli ebrei si emancipano, hanno finalmente accesso agli studi, godono di pari diritti, non sono più sudditi di serie C. E in breve diventano il ponte, la cerniera culturale, commerciale e amministrativa tra le nuove potenze coloniali e la popolazione autoctona araba. Un cambio di paradigma inaccettabile e che verrà vissuto dagli arabi come una pugnalata, un’umiliazione, alimentando un risentimento che dura fino ad oggi. 

Quali politiche attive possono essere condivise, in Europa così come anche dal resto del mondo, per separare il giudizio politico sulle scelte dei governi israeliani da un pregiudizio contro la legittimità storica del sionismo e dello Stato d’Israele? “La perdurante avversione verso Israele – continua Vercelli – presentata come una società abusiva, che non avrebbe diritto di continuare a esistere poiché prodotto di una forzatura storica, è alla base del pregiudizio contro il sionismo. Il sionismo è raffigurato in forma demonizzante, spesso al pari degli stessi pregiudizi che continuano a manifestarsi contro gli ebrei. Dare seguito a politiche attive contro la falsificazione della storia implica prima di tutto riuscire a comprendere la complessità di quegli eventi da cui nasce Israele. Soprattutto, ci si deve impegnare al contrasto nei confronti di tutte le pseudo-teorie complottiste, che associano lo Stato ebraico a progetti imperialisti, egemonici, di sopraffazione a danno della comunità internazionale. In questo, il ruolo degli ebrei è concorrere ad affrontare e a sfatare le mitologie razziste. I governi d’Israele, nel consesso internazionale, non è detto che abbiano sempre ragione riguardo alle loro scelte. Gli antisemiti, invece, hanno comunque sempre torto, esprimendosi non solo per cliché, ma con pericolosissimi stereotipi, il cui impatto dannoso riguarda non solo gli ebrei, ma ogni persona ragionevole che abiti sulla Terra.

In Italia come andrebbe affrontata la questione? Per Saul Meghnagi “l’ebraismo, nel suo sviluppo storico è stato ed è in relazione con diversi contesti di vita. Oggi, nelle società occidentali, gli ebrei possono mantenere la propria identità, condividendo la storia, le esperienze, gli usi, la lingua, la realtà culturale, civile e politica dei luoghi di residenza. Tuttavia, pregiudizi, allusioni, frasi offensive, affermazioni discutibili, da parte di risorgenti gruppi antisemiti e a volte di gente comune, sono presenti e determinano negli ebrei, anche in Italia, insicurezza e difficoltà di reagire. L’affermazione frequente “voi siete diversi, avete le vostre tradizioni, i vostri costumi” descrive un dato innegabile. La stessa affermazione può, però, coincidere con un pregiudizio: la volontà di differenziare gli ebrei per negare loro i diritti alla piena cittadinanza. Per chiarire complessità e caratteristiche di questa particolare condizione, il testo propone una riflessione legata a due termini: quello di “nazionalità” – quale insieme di persone accomunate da tradizione storiche, lingua cultura, origine – e di “cittadinanza” – connotata da diritti e doveri, quale vincolo giuridico di appartenenza a uno Stato. L’ebraismo costituisce, per questo, un caso emblematico, per riflettere sui problemi di convivenza tra maggioranza e minoranze, vecchie e nuove, presenti oggi nel nostro Paese, fornendo un esempio utile per affrontare il principio di uguaglianza che la nostra Costituzione garantisce a tutti i cittadini, pur nella loro diversità.

Intanto gli autori del libro annunciano che nei prossimi mesi partiranno dei seminari ed una rubrica con interviste sui pregiudizi (dell’ebraismo e non solo), a cura dell’Ucei, che si potrà seguire su https://webtv.ucei.it/video/cultura-e-approfondimenti

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