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Federica Maspero, oncologa e atleta: “Vi racconto la mia vita. Con le Calze in Cashmere”

“Avrei potuto chiedere un assegno di invalidità, cercare degli sponsor e lavorare, ma part time. Ma l’assistenzialismo non è parte del mio carattere. Avrei potuto dire: Ora lavorerò molto meno, perché non avendo le gambe mi stanco molto più degli altri e quindi è mio diritto ricevere aiuto dallo Stato, cioè dalla comunità, ma così facendo avrei tradito la mia storia e il mio carattere”.

Delle poco più di 200 pagine del suo libro, pubblicato di recente da Edizioni San Paolo, intitolato Calze in Cashmere, con la Prefazione di Adriano Panatta, forse sono queste le righe che la rappresentano di più.

Federica Maspero, 40 anni, di Como, è davvero una che non ha mai speculato sulla sua disabilità perché per lei avere due protesi o non avere tutte le dita non è una condizione invalidante.

Anzi, con l’inquietudine di chi vuole sempre imparare e rinnovarsi, è riuscita a cavarsela in modo fermo e dignitoso anche nella prova più dura.

A lavoro, quando ha alzato la voce per reclamare il rispetto di un contratto di lavoro calpestato, non l’ha fatto per tutelare la sua disabilità e sfruttarla a suo vantaggio, ma si è imposta come “qualunque persona stanca di lavorare per 40 ore settimanali ed essere pagata per trenta”. Non si è piegata quando “loro si sono attaccati ad una condizione personale e, calpestando i miei diritti pari a quelli di tutti, mi hanno replicato che ero io ad avere problemi”.

Quando le porte sbattute in faccia e le delusioni sono state troppe, pur masticando amaro, ha deciso di cercarsi un altro lavoro e di darsi allo sport, diventando un’atleta paralimpica.

A questo punto, però, occorre un flashback.

Il 19 novembre del 2002, giorno del suo ventiquattresimo compleanno Federica, Fede per tutti, si è ammalata improvvisamente di “una malattia – scrive nel suo libro- che mi ha spinto con forza verso la morte. Era una malattia mortale, ma non ce l’ha fatta. Poi non potendomi trascinare in un’altra dimensione, da assassina si è fatta ladra: ha preso quello che poteva dal mio corpo e mi ha lasciata viva e nuova. A cominciare una nuova vita”.

Fede ha dovuto superare non solo gli effetti di uno stato di coma, durato sette settimane, ma anche la sofferenza di avere un corpo diverso.  

Quando faceva la bella addormentata in ospedale la meningite fulminante le ha fatto un brutto scherzo. Il suo corpo, che agli inizi si era ricoperto di chiazze scure, si era trasformato.

“Nel momento del risveglio – ero già consapevole dell’amputazione delle gambe. Quello che non sapevo, e in parte non vedevo, era il danno alle mani e al naso: la malattia aveva colpito duramente le estremità del mio corpo, provocando necrosi devastanti. Il naso fu la ferita più traumatica. Quando una persona perde la continuità del suo volto nel tempo, cioè non se ne sente più certa, allora la crisi è molto forte. Mi hanno chiesto più volte: Ma in quelle ore cosa pensavi? Rispondo che non pensavo, ero troppo concentrata a cercare di capire chi ero diventata. Immaginavo solo quel che mi avevano detto, cioè che avrei potuto ancora camminare. Il mio corpo era ferito, eccome! Ma l’anima guardava al futuro, a ciò che c’era da fare e a imparare in fretta come farlo. A tormentarmi era sempre la stessa domanda, il mio chiodo fisso: Come faccio a continuare a fare quello che stavo facendo nella mia vita?”. E soprattutto: “Posso fare il medico con queste mani?”

Dopo il coma, mesi durissimi per la riabilitazione e la ricostruzione della sua psiche e del suo fisico. Un nuovo naso, nuove mani, e nuovi “piedi”, che con le protesi Fede deve imparare a guardare da una distanza diversa.

Ce la mette tutta, riprende gli studi – lì dove li aveva lasciati quel maledetto giorno in cui pensava di fare passare la febbre con una tachipirina per andare a festeggiare con gli amici – e si laurea in medicina. Riesce a specializzarsi in oncologia, dopo una parentesi di studio in America, a prendere la patente e lavorare. Ma di nuovo delusioni, umiliazioni quando osa chiedere il rispetto del suo contratto di lavoro a qualche primario. Non tutti mostrano di apprezzare la sua disponibilità, la sua preparazione, la sua passione e la grande sensibilità nei confronti dei malati. Grazie a quel potere dell’immaginazione che le permette di fare sempre balzi oltre il presente e ad una grande capacità di rielaborazione della sofferenza, Federica si reinventa: per alcuni anni lascia la medicina tradizionale e inizia a studiare quella cinese. Cura i suoi pazienti con l’agopuntura, senza abbandonare le esperienze raccolte in ospedale.

Solo da due mesi ha ripreso serenamente a lavorare come medico palliativista, cioè si occupa dell’assistenza dei malati nelle ultime fasi della loro vita, in un Hospice lombardo, il tutto portando avanti il suo studio di agopuntore. 

Lo sport è arrivato con le delusioni al lavoro e il desiderio fortissimo di fare qualcosa che fosse “ solo suo” e dove a misurarsi fosse finalmente anche il suo corpo, un corpo fino ad allora “messo a servizio della Fede che doveva riprendersi per fare il medico”.

Ho posto il significato e il valore della mia vita nelle mani di un lavoro – mi dissi un giorno – Così facendo ho permesso che qualcun altro potesse decidere di me e per me. La politica sanitaria, il nuovo primario, le sue scelte, mi hanno tagliato fuori senza quasi nemmeno ascoltarmi: figuriamoci prendere in considerazione i mie meriti e le mie competenze. Quel giorno conclusi: Sai, Fede, cosa c’è? Che forse devi partire da te. Cominciai ad ascoltare il mio corpo. A ventiquattro anni la mia fisicità mi aveva addirittura messo in pericolo. Da questa minaccia ero uscita con uno scatto formidabile di volontà e fatica. Ero andata avanti, eccome, ero andata lontano. Ma adesso sentivo di dover in qualche modo ripartire dallo stesso punto, ma in una direzione nuova. La risposta che stavo cercando era lo sport”.

Nel 2013 il suo percorso sportivo diventa agonistico. Memorabili le sue gare a Doha, a Rio nel 2016 e il suo incontro con Alex Zanardi, che troverete nel libro.

Nel 2015 ai mondiali in Qatar conquista il record italiano nei 400 metri con il tempo di 1: 07:41, nel 2016 all’Ipc Grand Prix di Grosseto nella staffetta 4 per cento metri dell’Italia femminile conquista con le compagne il record mondiale con 1:02:29, agli europei di Grosseto 2016 è suo il quarto posto nei 100, 200 e 400 metri. Alle Olimpiadi di Rio nel 2016 è quarta nei 400 nonostante un grave incidente, accaduto due settimane prima della gara. A Londra nel 2017, nei mondiali, è medaglia d’argento nei 400 metri 1:03:00.

Nel frattempo si è sposata con Matteo, l’uomo vestito di blu che aveva intravisto nel coma, “l’architrave della sua vita”, e con lui dall’anno scorso aspetta un bambino, che arriverà dalla Cina, non appena le frontiere si saranno aperte.

“E’ stata dura – dice – dimostrare di essere idonea nonostante la mia storia. Mesi di indagini psicologiche. Siamo arrivati a ricostruire persino gli alberi genealogici per dimostrare che potrei essere mamma. Non vedo l’ora di conoscerlo. Se ho momenti di rabbia e insicurezza? Certo, ma cerco di razionalizzare e vedere tutto quello che sono riuscita a fare in tutti questi diciannove anni. Molte volte mi chiedo e chiedo a Dio con cui ho un rapporto schietto perché ci sono certe fatiche enormi nella vita. Poi mi dico che c’è sempre un perché,  che forse ora non riesco a leggere la trama di un ordito che leggo capovolto, ma un giorno ci riuscirò e se non ci riuscirò comunque la vita avrà preso quella piega che mi avrà permesso di vedere altro e imparare altro. Mi dico che senza la meningite non avrei incontrato Matteo, non avrei gareggiato. Ora ho mio marito, le mie gare non più agonistiche, che faccio seguita anche adesso come agli inizi da lui, l’idea del nostro bambino a cui racconterò, se e quando lo chiederà,  senza ipocrisie quello che mi è capitato e quello che ho scoperto di me in questi anni”.

E cosa hai scoperto? “Che ho deciso, eccome, di non fare della sofferenza il mio modo di vivere e pensare di me. Non l’ho negata o nascosta, a me stessa e agli altri, ma non l’ho nemmeno mantenuta al centro. La sofferenza a un certo punto va lasciata andare. Credo di aver scoperto che dentro di me c’è ancora tanta vita da donare”.

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  1. Complimenti davvero Federica Maspero per la forza e la tenacia con cui ti sei imposta nella tua non proprio facile vita.
    Brava Cinzia Ficco per aver scovato e raccontato una storia di vita così forte e singolare!

  2. Una storia reale da diffondere e far capire che con la forza di volontà di può fare tanto.
    Una donna da cui prendere insegnamento.

  3. Sei una grande donna quando pensiamo che ci viene tolto molto il buon Dio ci da tanto ma tanto tanto è Lui che ci rende speciale …..ti auguro di realizzare il tuo sogno…x non è il mettere al mondo un figlio x farti sentire mamma …..ma amarlo del primo momento che lo stringi tra le braccia in quel momento di vedi mamma . Ti auguro tutto bene possibile x la tua bella famiglia 😘❤️

  4. Non ho parole e leggerla mi ha fatto vergognare quando mi arrabbio x stupidaggini.
    Grazie del tuo esempio.
    Ti auguro di tutto cuore di avere tutte le gioie della vita.

  5. Ciao ,

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    areyo dadar

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