in , , , ,

“I manager non pensano”. Parla Daniele Mattia, ideatore dell’executive philosophy

“I manager non pensano. E per questo, non sanno agire per far evolvere un’organizzazione aziendale. Semplicemente fanno, ispirati da un modello di lavoro ormai non più in linea con la realtà, non veritiero, e disfunzionale in riferimento agli stessi intenti organizzativi. Dovrebbero, invece, iniziare a dare spazio ai concetti e capire che de – narrare o re- interpretare il presente potrebbero diventare modi d’intendere e operare-realizzare fondamentali, utili a scrivere il destino di una azienda o a garantirle la capacità di autodeterminazione”.

A dirlo è Daniele Mattia, che ha ideato una nuova disciplina filosofica specifica per l’evoluzione di manager e organizzazioni, l’executive philosophye la figura dell’executive philosopher, definendo tutti gli elementi fondamentali della disciplina e di questa nuova figura professionale in un libro, pubblicato di recente da Guerini e intitolato, appunto, Executive philosophy- Un’evoluzione per manager, organizzazioni e filosofia. 

L’obiettivo dell’autore, prima accademico, poi figura di supporto per  Rai, Allianz, Decathlon, Cna, Airfrance KLM, E&Y, è aiutare manager,  imprenditori e organizzazioni a fronteggiare le sfide del futuro con nuovi paradigmi e modi di tradurli in realtà.

“Se fino ad ora – ci dice –  ci si è concentrati su come produrre di più, sulla leadership, più efficace o efficiente da scegliere, sulla velocità, sulla competizione, sulla competenza, sul taglio dei costi, senza pensare di  dare ad una azienda una dimensione quasi fuori dal tempo, quindi autonoma, oggi la differenza la fa solo il Pensiero.  Concettualizzare, cioè costruire un nucleo della realtà o coglierne la natura, l’essenza di una specifica realtà o di una più ampia, una realtà presente, che ci circonda, in cui siamo, e ciò al fine di poterle dare un senso non semplicemente migliore, ma evoluto, di poterla comprendere realmente, per agire di conseguenza, oppure per poterla indirizzare: questo ci può tutelare dall’imprevedibilità del mercato. Certo, riuscire a lanciare prima degli altri un prodotto è importante, ma negli anni sarà sempre meno sufficiente. In realtà già ora è soltanto necessario. Conteranno sempre più: sapere maneggiare concetti, essere, dubitare perché il dubbio non è una menomazione della volontà – come appare oggi – ma un’occasione per ripensarsi e garantirsi stabilità. E ancora, saranno sempre più fondamentali il saper dimenticare, il categorizzare, il sintetizzare, il Costruire concetti, il condensare per poter durare.  Di conseguenza, figure come quelle del formatore, del coach, del consulente mostrano e mostreranno sempre più severe criticità, perché legate a un vecchio paradigma, e perché non di rado in quelle professionalità, soprattutto negli ultimi anni, si mostra sempre più un certo livello d’improvvisazione, banalizzazione dei temi e semplificazioni eccessive – funzionali al vecchio paradigma. Lo stesso leader non andrà dietro al numero di follower, ma dovrà inseguire una nuova parola: evoluzione. Che per Mattia non significa cambiamento, sviluppo, o innovazione. Ma “il raggiungimento di una diversa interazione con l’ambiente circostante – interazione che ha come intento quello di recuperare un vantaggio o beneficio perduto oppure fortemente in discussione – con contemporanea mutazione del dna. Per mutazione intendo una trasformazione dimensionale, e le due dimensioni fondamentali, per il mondo organizzativo – e non solo – contemporaneo e futuro, sono il Pensiero e l’Execution”.

“L’innovazione si realizza all’interno dello stesso frame, opera oscillando tra tattica e strategia – scrive – Nell’innovazione si consegna qualcosa di nuovo al sistema, alla realtà data. Nell’evoluzione si rilegge un sistema o si realizza un altro insieme: la realtà, un’identità, delle possibilità. L’innovazione tende ad appiattirsi sulla tecnologia. Sempre più si riduce a novità tecnologica. L’evoluzione è agnostica, libera da narrative e liberante, e risiede nel binomio Pensiero – Execution”.

 In concreto, cos’è l’Executive philosophy? “E’ – aggiunge Mattia – quel pensiero che nel medesimo tempo ritrova e costruisce un legame apparentemente impensabile, e nascosto.  Una corrispondenza profonda tra natura filosofica e mondo manageriale. E’ produzione di un valore operativo definitivo e universale, in un’epoca di semplici valori aggiunti o aggiungibili. E’ richiamo al potere del pensiero nel suo senso più dirompente, e non indulgente, nei confronti del mondo organizzativo e della filosofia stessa. E’ pensiero decisivo e per questo già sempre un passo avanti. L’executive philosophy è pensiero evoluto, non è processare, misurare, calcolare, analizzare –  parametri di una cultura, e valutazione, organizzativa e manageriale – Parliamo di  un pensiero che si fa realtà e che non è semplicemente utile, ma indispensabile, a chi vuole evolvere – non semplicemente cambiare, sviluppare, innovare – il proprio profilo manageriale, la propria organizzazione”.

Il manager del futuro? “Deve, sì, occuparsi della realtà che lo circonda- afferma- agire sul cambiamento, ma anche cogliere ciò che resta, che muta molto lentamente  e che può offrire un certo livello di stabilità. In una parola, Pensare. Aprirsi all’esercizio della possibilità, superare paure e concedersi un thauma (greco)  o uno stoß (tedesco), caro a Martin Heidegger, un urto spaesante e riorganizzante nello stesso tempo”

Ma Pensiero e business possono davvero incrociarsi? Provate a leggere nel libro la carrellata di filosofi classici che riuscivano ad essere anche molto pragmatici: Talete, Platone, Parmenide, Aristotele,  Cartesio, Epicuro e tanti altri.  Uno a caso? Socrate. Di lui a pagina 113 si legge: “Fu valente e coraggioso oplita, uomo di battaglia sul campo non solo di dialettica. Pare vero prese dalla madre il suo metodo, la maieutica, ma allo stesso tempo  pare proprio che anche dal padre scultore, Sofronisco, prese qualcosa. Infatti si parla di lui – Diogene Laerzio – anche come di uno scultore capace e di una persona che era in grado – nonostante i cliché storiografici – di accumulare denaro impiegando piccoli capitali e ricavandone degli interessi, spendendo unicamente le rendite e investendo di nuovo la somma: del resto doveva pur mantenere se stesso, le sue due mogli e i tre figli”.

“Però, non basta individuare aneddoti o percorsi di vita dei filosofi per chiarire una corrispondenza, così come quanto inteso e illuminato nell’executive philosophy – chiude Mattia – Vi è dell’altro, di più duraturo, universale, radicale e decisivo. ma tutto ciò lo lasciamo a chi vorrà approfondire, leggendo il libro”

Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Loading…

0

Commenti

0 commenti

What do you think?

Written by Cinzia Ficco

Parlami e ti dirò se sei ansioso, depresso o dopato. La ricerca di Giovanni Saggio, ingegnere

La prima avvocatessa? Giustina Rocca. Da Trani iniziative per celebrarla