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La libraia romana, il paradosso di Popper e la riforma della giustizia. Parla Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Luigi Einaudi

Un tweet sulla libraia romana allergica al nuovo libro di Giorgia Meloni, il paradosso di Popper, lo stato di salute dei liberali e il tema, in Italia perennemente caldo, della giustizia.

Abbiamo provato a toccare i temi a lui più cari. L’ho agganciato su Twitter dove, qualche settimana fa, ha annunciato che, da liberale, il libro della leader di Fratelli d’Italia, l’avrebbe comprato. Con tanti saluti ad indignati e suscettibili, a cui ha replicato: “Libera la libraia di fare quello che ritiene più opportuno, liberi noi di criticare senza essere insolentiti. Si chiama democrazia”.

Il tipo tosto è Giuseppe Benedetto, nato a Capo d’Orlando (’54) e presidente della Fondazione Luigi Einaudi dal 2016, una realtà “che – tiene a far sapere – ha zero iscritti, non essendo un partito, ma conta dei soci fondatori, pochi qualificati. Non facciamo campagne di iscrizioni. Per divulgare la cultura liberale ci stiamo attivando con borse di studio, ma ci impegniamo ogni giorno attraverso ricerche, pubblicazioni, iniziative di ogni genere. Siamo molto attivi sui social network. Chi ci segue, ben conosce le nostre posizioni sulla giustizia, l’economia, dove siamo convinti che siano necessari più mercato, più concorrenza, più competenza. I nostri campi di approfondimento sono in genere le scienze sociali. La Fondazione è conosciuta in tutta Italia e cerca di rilanciare il pensiero del Presidente Luigi Einaudi”.

Presidente, ma perché “liberale” ancora oggi è un aggettivo che non piace molto?

A me pare l’opposto. Attorno al termine liberale non vi è un alone negativo, bensì troppe false positività. Si fa ormai a gara a definirsi liberali. Ho avuto modo di esprimere cosa dovrebbe dire e fare chi vuole rappresentare il mondo liberale. Deve rivendicare con orgoglio questa identità ideologica, distinguendosi marcatamente da tutti gli imitatori. L’uguaglianza è un valore da difendere e ricercare nei punti di partenza, ma al termine della gara è la meritocrazia che deve prevalere. Incentivare gli individui a mettersi in gioco, aiutare le imprese ad essere concorrenti sui mercati internazionali, premiare coloro che si sacrificano e producono. Questi sono i valori del liberalismo, antitetici per definizione alla cultura dell’assistenza.

Quanti autentici liberali ci sono oggi in Italia?  Non le sembrano tanti, divisi dal desiderio di leadership?

Non posso essere io a definire i veri liberali e i falsi liberali. Non diamo noi le patenti di liberali. Come ho detto anche nella risposta precedente, è necessario intendersi su cosa significhi essere appartenenti a questo orientamento ideologico e culturale. Il tema della leadership riguarda ogni schieramento ed anche quello eventuale liberale. Dico eventuale, perché in questo dato momento storico non credo che vi sia un partito che rappresenta i liberali in Italia. Ciò detto, non mi pongo il problema della leadership. Forse, i liberali devono porsi il problema di una rappresentanza politico-parlamentare. Una rappresentanza politico-culturale è, invece, presente grazie alla Fondazione Luigi Einaudi ed altri think tank. In ogni caso, credo che non si debba partire dal leader, ma dall’affermazione di un progetto che ponga al centro l’individuo e le sue libertà.

Mario Draghi, allievo di Federico Caffè, federatore di tutti i liberali: che ne dice? Vede in lui gli insegnamenti del suo maestro?

Ho più volte affermato che Mario Draghi non è un liberista e tutta la sua storia lo dimostra. Come ha lei ricordato, la sua formazione economica risale a Federico Caffè. Credo che non sia nemmeno un liberale. Tuttavia, su tale questione il giudizio rimane sospeso, non conoscendo, ad esempio, la sua idea della giustizia o dei diritti di libertà. Nonostante ciò, sono convinto che sia il migliore Presidente del Consiglio possibile in questo dato momento storico. Di fronte all’incapacità dei partiti di esprimere una maggioranza politica ed una visione del futuro l’ex Presidente della Bce è la figura più idonea per le difficili sfide che ci attendono. Il suo Governo non è chiamato a risolvere ogni problema dello scibile umano, ma ad affrontare poche questioni cruciali. È evidente che affrontare la pandemia, come Draghi sta facendo, sia condizione essenziale per potere parlare di riaperture e ripartenza economica.

E veniamo alla giustizia. Crede che si stia andando verso la giusta direzione per riformarla davvero? Qualche giorno sul Messaggero, sulle prospettive che si intravedono, Carlo Nordio ha scritto: “Troppo per conseguire un risultato immediato e concreto, troppo poco per ottenerne uno significativo e duraturo. 
Per rendere più snella la giustizia civile basta copiare dai sistemi che funzionano, in primo luogo quello tedesco. E quindi semplificare le procedure, aumentare l’organico dei collaboratori amministrativi, accelerare la digitalizzazione e dare una sistemazione onorevole ai giudici onorari. Poi bisognerebbe intervenire su quei reati evanescenti come l’abuso d’ufficio e il traffico di influenze. Il progetto di riforma del processo penale è invece irrealizzabile in tempi brevi”. I grillini sembrano resistenti alla direzione che vorrebbe dare la Ministra Cartabia. Lega e Radicali  hanno deciso di raccogliere firme su otto quesiti referendari. Insomma, una riforma tutta in salita.

Lei, come dice un noto giornalista televisivo, ha posto le domande e si è anche dato le risposte. Per quanto mi riguarda, devo dirle che la penso come Nordio. Questa maggioranza molto difficilmente potrà varare una vera riforma della giustizia penale, perché divisa in diverse matrici ideologiche. Con riferimento all’iniziativa della Lega e dei Radicali, credo che sia più materia di riforme parlamentari, anche di profonde revisioni costituzionali, ma non di referendum. Ciò detto, se il referendum troverà una strada, da garantisti, lo appoggeremo senza se e senza ma. Per quanto concerne il merito della questione, vado ripetendo da anni che stiamo ruotando attorno al nucleo essenziale della riforma della giustizia: si chiama separazione delle carriere. Senza separazione delle carriere tutto il resto è vano.

Non crede che al malfunzionamento della giustizia civile contribuisca l’eccessiva litigiosità italiana, dovuta ad un numero alto di avvocati, ognuno con il proprio orticello da difendere? Pensare ad un “tetto” massimo sarebbe sbagliato?

Non mi pare che sia questo il problema principale. C’è una media europea e noi siamo probabilmente sopra la media. Tuttavia, non è il numero degli avvocati il nodo della questione. I temi sono ben altri, quelli che le ho indicato poc’anzi.

Torniamo sul tweet galeotto, che ci ha fatto conoscere. Ha detto che comprerà il libro di Giorgia Meloni. Ma Popper che ne penserebbe?

Conosciamo tutti il paradosso di Popper e ho avuto modo di dire che non è forse la teoria più fondata dell’illustre filosofo austriaco. Tuttavia, c’è del vero anche nel suo paradosso. Io non ho attaccato la libraria, né ho difeso Giorgia Meloni. Ho voluto ribadire un principio: è sempre bene il confronto. In secondo luogo, quando si parla di Resistenza e si richiama quel periodo storico, è necessario essere cauti. È sembrato fuori luogo richiamarsi alla resistenza per non vendere il libro della Meloni. Ciò posto, la libraia venda ciò che desidera, non è questo il problema. Leggerò il libro, perché mi interessa leggere e conoscere anche le idee di chi ha una prospettiva diversa dalla mia. Io non faccio parte, come noto, del partito di Giorgia Meloni, ma ritengo che il confronto con il modo di pensare altrui sia sempre un prezioso arricchimento. Lezione che la libraia, anche per il mestiere che esercita, dovrebbe far propria.

Come un liberale concilia la libertà di pensiero con il rospetto della dignità? Non posso che chiederle cosa pensa dei disegni di legge Zan e Ronzulli. Sulla Stampa di qualche giorno fa la sua collega, Annamaria Bernardini de Pace, ha scritto: “E’ una legge che tutela tutti, non è vero che è la legge voluta dalla lobby omosessuale o dalla sinistra. E non ipoteca la libertà di pensiero”.

Il disegno di legge Zan è controverso. Nel merito, si potrebbero affrontare diverse questioni. Alcune sono affrontate correttamente, altre sono invece suscettibili di miglioramento. Però, la questione del ddl Zan e di coloro che si contrappongono in maniera virulenta è molto più interessante dello stesso contenuto del ddl. Ideologizzare tali problemi, renderli motivo di lotta tra schieramenti contrapposti è proprio quello che bisognerebbe evitare. Sedersi attorno ad un tavolo, ancora di più se si fa parte della stessa maggioranza, come Ronzulli e Zan, e trovare un punto di equilibrio non mi sembrano ipotesi così remote. I reati già previsti dal codice penale vigente sono puniti severamente. Se li si vuol punire ancora più severamente, si accomodino. Anche questo a me sembra un tema di fronti ideologici contrapposti. Gli orientamenti applicati a questi temi non sono la soluzione ideale.

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Written by Cinzia Ficco

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