“Se né la globalizzazione, né la digitalizzazione sono riuscite a spingere il nostro Paese ad avviare le riforme e il sistema delle piccole e medie imprese ad innovarsi, oggi, dopo la pandemia, la guerra Russia – Ucraina in corso, le conseguenti stime di crescita riviste al ribasso, i prezzi dell’energia e delle materie prime alle stelle, l’inflazione galoppante, non è più tempo di rimandare. E’ l’ora di dire basta alle disfunzioni e iniziare a cambiare. Nel pubblico, come nel privato. Anche se per trasformarsi, occorre una nuova visione del mondo”.
Così Davide Mondaini, classe ’64, docente di Economia e Organizzazione all’Università di Bologna, da più di venti anni consulente strategico di famiglie imprenditoriali, commentando i suoi due libri, pubblicati da Giacomo Bruno editore e intitolati Missione Rilancio e Missione Sviluppo, entrambi dedicati al potenziale nascosto delle aziende di famiglia.
Il professore, che è anche fondatore di Mondaini partners (www.mondainipartners.com), è netto: “Se la politica dovrà rimboccarsi le maniche per sbloccare cambiamenti in materia di lavoro, pubblica amministrazione, fisco, industria, pensioni e giustizia civile, da trenta anni in stand by – approfittando dei fondi del Next generation Eu e del PNRR – anche nelle aziende medie e piccole dovrà finalmente iniziare a circolare cultura d’impresa. Troppe opportunità sprecate, ma ora non abbiamo alternative, perché siamo in recessione. Mi rivolgo in particolare agli imprenditori con cui lavoro. E dico che serve coraggio. Non dimentichiamo che su di loro saranno scaricati i contraccolpi maggiori delle difficoltà di questi ultimi anni e che saranno loro a dover rimettere in piedi questo Paese. A condizione che imparino a scoprire il loro tesoro nascosto”.
Cos’è questo potenziale nascosto, perché le pmi non si sono ancora svecchiate, qual è lo scatto di reni urgente e, soprattutto, come sbloccare le risorse latenti?
Le risposte sono nei suoi due libri – in cui è descritto anche il suo metodo (che potremmo assimilare all’arte della maieutica socratica), ormai collaudato, con cui è riuscito ad aiutare molte pmi a diventare consapevoli delle proprie capacità inespresse.
Ma qualche input, utile per capire come molti imprenditori si dovrebbero attrezzare per superare le nuove sfide di un mondo sempre più complesso, potrete trovarlo in questa chiacchierata.
Professore, andiamo con ordine e partiamo dal suo interesse per le aziende di famiglia, a cui ha dedicato un’Accademia – un centro di ricerche e studio – e un magazine (Family Biz), che sarà lanciato ufficialmente vicino Bologna il 21 luglio prossimo. Ci spiega perché le trova più interessanti delle grandi?
Intanto, preciso che tra i miei clienti ci sono anche le multinazionali. Ma preferisco lavorare con quelle piccole e medie (dai 50 ai 300 dipendenti) perché adoro entrare in confidenza con chi rischia, chi investe i propri soldi, chi non dorme la notte per far quadrare i conti, chi non vive senza presidiare ogni giorno la propria azienda. E’ vero, da ragazzino avevo altri sogni. Mi immaginavo calciatore, ma crescendo, ho scoperto la mia grande passione, che è la psicologia. Bene, studiando quella applicata alle organizzazioni, sono ormai tanti anni che trovo particolarmente intrigante capire certe dinamiche familiari che spesso bloccano lo sviluppo di una realtà imprenditoriale. Alludo a conflitti tra un padre padrone – che non conosce il verbo delegare- e un figlio completamente sottomesso, o a scontri tra fratelli, che ostacolano decisioni fondamentali per una piccola o media realtà.
Non mi dica che sono i litigi tra fratelli o genitori e figli nelle pmi a non far aumentare il tasso di produttività in Italia?
Certo che no. Questo è solo uno degli aspetti di quello che non va nel nostro sistema economico. E di conseguenza, di quello che blocca la crescita del Paese. Nella maggior parte dei casi, incontro imprenditori vecchio stampo che hanno fondato l’azienda, resistenti a mollare, perché non credono nelle capacità dei figli. Altre volte, mi capitano figli che dirigono aziende perché non ci sono sostituti, quindi costretti a prendere le redini, senza aver fatto esperienza fuori dell’azienda. Oppure vedo realtà dove il concetto di managerializzazione è ancora un oggetto misterioso. Sono quelle in cui mancano figure precise per ruoli precisi. Un esempio? Il contabile che si occupa delle risorse umane o gestisce l’ufficio stampa. Dopo anni di esperienza ho capito che l’azienda con gli anni perde competitività perché c’è una gestione inefficace in quanto asfittica, o perché si registra perdita di interesse verso il business da parte della famiglia.
Altro grande limite?
La mancanza di visione. E solo un leader, cioè chi riesce a farsi seguire senza che gli altri se ne accorgano, è capace di darla. Per questo dico che nelle Pmi italiane – spesso scatole buie dove c’è tristezza e dove si dà peso solo all’aspetto aziendalistico – servirebbero più filosofi e psicologi. Meno direttori generali, che vanno avanti con decisioni prese giorno per giorno e solo di pancia. Meglio un Cda o un Advisory Board per le scelte strategiche.
Proviamo a sintetizzare anni di studio e analisi di quello che non funziona nelle piccole e medie imprese.
Se volessimo sintetizzare, le piccole e medie imprese molte volte non riescono a imboccare la strada dello sviluppo equilibrato e stabile, perché non hanno sufficienti capacità per individuare e sbloccare i propri punti di forza e gli asset nascosti attraverso la disciplina che chiamo dell’Execution.
Cos’è l’Execution e qual è quella vincente?
E’ un metodo strutturato, cucito su misura per ogni azienda, che aiuta gli imprenditori a mettere a terra i progetti. Spesso si hanno idee buone, ma non si sa come arrivare a concretizzarle. Una Execution vincente è quella che ti può permettere di cavalcare i cambiamenti normativi per trovare un nuovo mercato, reagire prontamente a una crisi globale quale può essere una pandemia, lanciare nuovi prodotti che rendano obsoleti quelli dei tuoi competitor, acquisire nuovi clienti e ridurre il rischio di concentrazione del tuo fatturato, e così via.
In concreto, quale sarebbe la sua piccola e media azienda modello?
Quella solida, che non cresce in fretta, dove il leader compatta tutta la squadra su un unico obiettivo, premia chi fa e penalizza chi non fa, individua le competenze giuste per ogni ruolo. E’ l’azienda equilibrata, che non fa solo numeri alti o non fa arricchire soltanto i familiari, ma quella che migliora la qualità del territorio in cui opera. E’ quella non ricattabile. E, soprattutto, quella che innova. In futuro, non sarà la grande a resistere, ma quella che quella che si trasformerà, anticipando i piccoli segnali di disagio. Dunque, quella che si svecchierà al di là dei numeri bassi.
In quante resistono oggi ?
Se analizziamo il tasso di sopravvivenza delle aziende a conduzione familiare, riscontriamo che, prese 100 famiglie e aziende familiari che siano riuscite a sopravvivere per una generazione intera, alla fine della seconda generazione soltanto 30 famiglie posseggono ricchezza sufficiente, alla fine della terza generazione soltanto 15 famiglie e alla fine della quarta solo dieci famiglie.
Quindi come arrestare questo trend?
Nel tempo le aziende e le famiglie devono migrare in modo ricorrente, ogni 2 – 3 generazioni, verso nuove attività di creazione di valore. La capacità di guidare questa migrazione, cioè di lasciare indietro alcune attività a vantaggio di nuovi business è uno degli aspetti che di sicuro possono fare la differenza. Ma, ripeto, occorre un metodo strutturato, cioè un regolamento interno, che stabilisca chi prende le decisioni, quali decisioni vanno prese dal cda, quali dai proprietari della famiglia. Insomma, una governance chiara, che oggi non c’è. Ma è sempre bene che chi voglia rimettere in piedi o rilanciare un’azienda parta dai suoi punti di forza residui. Dico spesso che non esistono aziende in crisi, ma soltanto business e organizzazioni da trasformare e rilanciare.
Da poco ha rinnovato FamilyBiz (www.familybiz.it) – il magazine di economia e management delle imprese a base familiare. La mission?
Vorrei che diventasse la vetrina delle belle pratiche aziendali, ma soprattutto un luogo di confronto tra gli stessi imprenditori. Magari una community per far circolare cultura d’impresa. Tutto sperando che anche la politica faccia la sua parte.
Cinzia Ficco
Ottima analisi economica che tratteggia la situazione in maniera chiara ed esaustiva. Concordo con il prof. Mondaini quando allude alle riforme mancate che devono consentire un cambiamento radicale dei processi produttivi delle imprese italiane. Speriamo che i governi si rendano conto della attuale situazione economica e sociale.
Grazie Francesco