Quattordici anni e due sogni: diventare un medico per aiutare gli altri e uscire di casa. Anche se su una sedia a rotelle.
Da quando ha otto anni, Sara Ciafardoni è immobile nel suo letto, per una malattia rara. Dice che il mondo, che non ha mai visto, non si sforza di immaginarlo. Ce l’ha nei pochi metri quadrati della sua cameretta. I suoi genitori e sua sorella, Adriana, non fanno altro che colorarlo e abbellirlo con le sue foto. Gigantografie proiettate sui muri, che lei ritocca con il photoshop e a cui aggiunge didascalie. Le immagini diventano così storie. Quando le scrive, Sara si ispira ai libri che legge. Anzi, divora, avendo una giornata lunghissima.
“Negli ultimi tempi, i dolori – mi dice con un filo di voce e una febbre a 38 e mezzo – si sono fatti più insistenti. Mi sveglio tra le 3 e le 4 di mattina e leggo. Di tutto. Dai classici, agli storici, ai libri di divulgazione scientifica. Uno dei miei preferiti: Shakespeare e il suo Mercante di Venezia”.
Ma i libri li consiglia anche. Ai suoi amici e followers, i 500 mila del suo blog lalettricesognatrice http://www.lalettricesognatrice.com/ e gli 11 mila della sua pagina Instagram https://www.instagram.com/lasarabooks/?hl=it E li scrive. Come Emily Dichkinson, non ha bisogno di mettere il naso fuori dalla sua stanza per creare. Ne ha pubblicati due. Il primo, una raccolta di lettere, a 9 anni. L’ultimo, un romanzo, si intitola: Con tutto l’amore che so – ed è “una dichiarazione d’amore nei confronti dell’esistenza – mi spiega – che si fonde ai rapporti umani, alle persone che colorano la quotidianità, al fatto che terreno e divino possono creare un’alleanza indistruttibile, capace di rendere meno dura la difficile esistenza di una ragazza malata, Sofia. Scrivere questa storia è stata l’esperienza più terapeutica che abbia mai affrontato. Ho conosciuto parti nascoste di me che immagino sarebbero rimaste in letargo per molto tempo. Arriva per tutti, prima o poi, un momento che ti mette alla prova e chiede più di quello che sei in grado di sopportare, per poi farti capire che sei più forte di quanto pensi. Di continuo, Sofia, proprio come me, è costretta a lottare per ogni mollica che compone la vita e che lei tanto ama. Con la malattia ti sembra di impazzire e vivere in una bolla che potrebbe scoppiare da un momento all’altro, eppure è proprio il dolore a dare importanza alla felicità. Il dolore, si sa, è annebbiante, ma è proprio in quella confusa nebbia che si riesce a trovare il filo più prezioso che ci lega alla luce. La storia di Sofia è pura fantasia, ma in fondo non sono andata così lontano da quella che è la verità, perché Sofia è dentro di me, ma anche dentro di te o dentro quella persona sconosciuta che hai da poco incontrato. Di certo io sono una goccia nel mare, come lo sarà anche il mio romanzo, ma vorrei far riflettere sul fatto che la disabilità non è una coraggiosa lotta e neanche un insieme di inutili commiserazioni, bensì, una vita uguale a quella di tante persone condita, però, dall’arte di affrontare gli ostacoli con una naturale semplicità”.
Sara è iscritta al primo anno del liceo scientifico con opzione scienza applicata dell’Istituto Augusto Righi di Cerignola (Foggia). Grazie ad un progetto della preside Albanese, gli insegnanti vanno a casa sua di mattina e qualche volta di pomeriggio.
“Amo la letteratura, la storia, ma- afferma – è sulla scienza che faccio affidamento. Sarà il progresso nel campo medico che un giorno, mi auguro, riuscirà a trovare una medicina per me e quelli che vivono nella mia stessa condizione”.
Oltre a leggere – un tempo dipingeva – Ha il pallino della fotografia. “I miei genitori sono le mie braccia – continua Sara – Sono loro che creano materialmente un oggetto che ho in testa e che riprendo”.
Cosa mi manca? “Sembrerà strano – afferma – ma credo di avere quasi tutto. Sì, mi piacerebbe uscire come fanno i miei coetanei, però, qui ho il mondo rassicurante, la mia famiglia, quella vera e quella virtuale, composta dagli amici che sento spesso e che mi chiedono consigli quando sono un po’ tristi. Il mio cielo è nella mia stanza. Sai, forse sono stati i miei genitori che non mi hanno mai fatto pesare la mia condizione, ma ho imparato ad accettarmi. Se non fosse così, non avrei solo una disabilità fisica, ma anche limiti mentali. Credo di aver imparato a vivere bene. Sono una che non pensa tanto al futuro, ma acchiappa l’istante. E si circonda di persone sincere. Niente spazio, né considerazione per quelli che giudicano senza conoscermi o per chi mi dà della poverina. Una cosa che mi fa male è il pietismo. Voglio che la mia esistenza scorra così. Un giorno mi piacerebbe aiutare un po’ di più chi ha bisogno. Penso di studiare per diventare psicologa o medico. Non vorrei, però, ricevere i miei pazienti qui a casa. Mi auguro che per quel momento un miracolo mi faccia tornare sulla sedia a rotelle. Come prima dei miei otto anni. Quando almeno potevo gironzolare per casa”.
Ciao Sara. ebbene ho letto appena adesso lo stralcio che hai pubblicato, ebbene si quello che tu dici è importante, vuoi essere considerata come altri, pare che non vi sia bisogno di spronarti, ma tu lo stai facendo ad altri, dando esempio di non piangerti addosso. Ma non solo quando si è difronte a situazioni simili, ma ci si deve misurare anche contro la cattiveria dell’essere che si ritiene superiore a colui che ha un problemi e che la malvagia burocrazia, gli impedisce di respirare aria pura. Realizza il tuo desiderio di diventare PSICOLOGA. Con affetto Natale