Come lavoreremo domani? Pensarci diventa urgente soprattutto in questa fase post Covid19. Tante le incognite e le sfide che ci attendono. Ma una cosa è certa, almeno per Silvia Zanella, che si occupa e scrive di lavoro da anni: Il futuro del lavoro sarà femmina.
Lo dice nel suo ultimo libro, pubblicato di recente da Bompiani, in cui spiega che, appunto, femminili saranno sempre più le competenze richieste in ambito professionale. A cosa allude l’autrice? Alle cosiddette soft skills, cioè, alle capacità emotive e relazionali, che nessun robot è in grado di replicare.
Empatia, fiducia, capacità comunicative, collaborazione, senso critico: è a queste caratteristiche che, a leggere Silvia, affideremo il nostro domani lavorativo.
“I primi segnali ci sono già – scrive – i tempi e gli spazi del lavoro sono sempre meno fissi e definiti (lo dimostra l’esplosione – negli ultimi cinque anni, non solo quella più recente di fenomeni come smart working, coworking, gig economy, mobilità internazionale). Occorrerà mettere da parte rigidità gerarchiche e stili di leadership accentratori ed essere accoglienti, morbidi, flessibili, gentili, trasparenti, aperti inclusivi. Valori, concetti e principi tradizionalmente maschili, focus sui risultati e potere si riveleranno via via meno utili ad affrontare le sfide professionali di domani. Competizione fine a se stessa, antagonismo e ricompense materiali lasceranno il posto a cooperazione, collaborazione e attenzione allo scopo”.
Persino la vulnerabilità non sarà più un disvalore. E ancora. “Muterà la nostra idea di carriera: sarà un percorso più lungo e meno costante, all’interno del quale dovremo fronteggiare cambiamenti anche radicali, l’alternanza tra momenti operativi e momenti formativi, tra pause intenzionali e stop forzati”.
Cambiando il modo di lavorare, ovvio, cambierà il modo in cui noi ci penseremo non solo nella sfera professionale, ma nella società.
In che maniera – si chiede la giornalista- un lavoro meno stabile e un’identità professionale più fluida andranno a incidere sulla percezione di noi stessi? “L’identità stessa dei lavoratori – si legge a pagina 207 – muterà gioco forza, in un complesso equilibrio fra dimensione privata e professionale, fra online e offline. Con l’avvento del digitale, come abbiamo visto, sono cambiati non solo le competenze e le professioni, ma anche i luoghi e i tempi del lavoro, con un forte impatto sull’autopercezione di ciascuno. Una stessa persona, anche nell’arco di poco tempo, può ricoprire ruoli diversi, restare disoccupata, rimettersi a studiare, avere n contratti di lavoro differenti o fare il free lance. Non è più il biglietto da visita a definire in modo univoco e permanente chi siamo. Sono cambiati i punti di riferimento fisici, dalla bottega alla fabbrica, che tanto avevano contribuito alla formazione di una coscienza di classe. Rimane tutto da costruire il senso di appartenenza che non può radicarsi in un contratto collettivo o in una fattispecie giuridica di subordinazione. Sapersi ripensare in modo più fluido sarà quasi questione di sopravvivenza.
Ma a che punto siamo? Proviamo a capirne di più.
Silvia, intanto perché pensi che la capacità di includere e la flessibilità siano doti attribuibili solo alle donne?
Si tratta di competenze attribuite al sesso femminile storicamente e archetipicamente. Ma la conferma che si tratti di qualità tipiche della donna viene dalle ricerche delle scienze sociali ed in particolare, di management. Questo, però, non significa che siano appannaggio esclusivo delle donne, e che gli uomini ne siano sprovvisti. Semplicemente, dico che queste competenze sono da sempre riscontrate e più attese da parte delle donne.
In futuro, serviranno, sì, competenze “femminili”, ma anche politiche diverse. Lo dici, riprendendo Marco Bentivogli e scrivendo che occorre una “politica migliore“. Cosa intendi?
Ritengo che quello del lavoro sia un discorso eminentemente politico che, cioè, richieda una visone sul futuro dei cittadini. In questo senso, occorre che la politica se ne prenda cura. Ma una visone semplicemente partitica penso sia poco interessante e poco efficace. Più senso avrebbe una focalizzazione più ampia, per esempio, sulla connessione mondo scolastico e mondo delle imprese. In concreto? Servirebbe incentivare una formazione permanente – quindi una defiscalizzazione delle spese legate all’istruzione- ma anche più welfare pubblico. Oggi sono i nonni e le baby sitter che permettono ad una donna di lavorare. E, invece, sarebbe utile una revisione completa da parte dello Stato dei carichi di cura e dei servizi messi a disposizione delle famiglie e delle donne che vogliono lavorare e fare carriera.
Questo governo faciliterà la rivoluzione femminile nel mondo del lavoro? E, soprattutto, visto che si affermerà una presenza da remoto più massiccia nel lavoro, quali politiche per la famiglia l’esecutivo dovrebbe avviare subito?
Credo che ci siano istanze confliggenti. Ma bisogna rivedere quanto prima e in modo totale il mercato del lavoro, ridisegnare l’accesso alle tecnologie e le città. E’chiaro che questo governo, come succederebbe ad altri in questo momento, non si trovi in una situazione semplice. Ritengo che alcune misure adottate sino ad ora nel brevissimo periodo siano state corrette, ma non possono essere perpetrate a lungo. Mi riferisco al sovvenzionamento tout court delle persone in difficoltà e al blocco dei licenziamenti. Ma in futuro, di fronte a chi ha perso un lavoro e a famiglie bisognose, serviranno politiche forti di investimenti pubblici.
Smart working: a quali condizioni, e soprattutto senza alcuna distinzione tra pubblico e privato?
Il distinguo da fare non è pubblico – privato o tra tipologie di lavoro e settore. Lo smart working ha senso solo se avvii una rivoluzione nei rapporti di lavoro, anche se non fai specificamente lavoro agile. Occorrono maggiore fiducia tra lavoratore e datore di lavoro e attenzione ai risultati più che al tempo impiegato per una determinata attività. Quindi più delega e maggiore responsabilizzazione. Sono per un discorso più ampio di smart working, che non significa solo autonomia di scelta dello spazio, del tempo e delle modalità di lavoro, ma soprattutto revisione intelligente dei modi di lavorare, che può applicarsi in modo diverso a tutte le professioni.
Prova a dare un consiglio ai giovani su come impostare un c.v
Il cv è solo il punto di partenza. Questo non significa che bisogna sottovalutalo, ma che non è più l’unica arma a disposizione per affacciarsi al mondo del lavoro. Più utile è curare il proprio brand sui social, partecipare alle discussioni, farsi vedere attivi e bravi, i più bravi, su determinati temi. Ha molto più senso agire sul proprio posizionamento, su come siamo percepiti, sulla nostra rete relazionale, oltre che sui contenuti e sul valore che possiamo veicolare e sulla fiducia che possiamo ispirare. Quindi, sì, ad un curriculum ben scritto. Ma, attenzione, c’è tanto altro: personal branding, reputazione, social recruiting
Covid 19. Si parla di South working. Una meta raggiungibile per questo Governo?
Questo Governo ha una forte attenzione per il Mezzogiorno, potrebbe trovarsi nella condizione di poterlo promuovere. Ma non è una soluzione facile perché credo occorrano parecchie condizioni: rivedere l’assetto industriale, quello dei servizi urbani e di tutte le attività commerciali connesse. Una sfida davvero tosta.
Silvia Zanella ha lavorato in Italia e all’estero per le più grandi aziende di risorse umane e di consulenza al mondo. Il suo sito è www.silviazanella.com
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