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Da Renzo Arbore al Gr con i detenuti di Bollate. “Porto le loro voci oltre le sbarre”. Parla Paolo Aleotti, giornalista

I “suoi” detenuti domani incontreranno la Ministra della Giustizia, Marta Cartabia. L’appuntamento è stato programmato da tempo e di sicuro la responsabile del dicastero della Giustizia non potrà rinunciare.

Si discuterà dei problemi legati al sovraffollamento carcerario, di conseguenza dell’aumento di malattie psichiche per molti detenuti, della necessità di una maggiore trasparenza, oltreché della possibilità di un ricorso ottimizzato alla pena detentiva, incentivando la depenalizzazione di alcuni reati, spingendo per una giustizia riparativa e trasformando il carcere in extrema ratio. L’iniziativa è del gruppo di Paolo Aleotti, romano, del 1949, volto storico della Rai.

Qualcuno lo ricorderà come free lance nella trasmissione Per Voi Giovani, condotta da Renzo Arbore, al Gr3 della Rai, come inviato, ma anche come corrispondente dagli Stati Uniti per i gr ed i tg Rai per dieci anni, ma anche come inviato di Ballarò, Curatore di Che tempo che fa, inviato per la trasmissione di Enzo Biagi, RT, Documentarista per Rai3. Oggi è docente all’Università Cattolica di Milano e per la Scuola di giornalismo della Fondazione Basso. Da alcuni anni si è innamorato del mondo carcerario.

“La passione è nata quasi per caso – racconta – Un giorno del 2014 l’associazione culturale Antigone, guidata da Patrizio Gonnella, mi ha chiesto di insegnare come si fanno gli audiodocumentari nel carcere di Bollate, alle persone ristrette.  Fino a quel momento ero entrato in alcune carceri, ma solo per realizzare interviste: a Porto Azzurro sull’isola d’Elba, Rebibbia a Roma, alla Giudecca, la casa di reclusione femminile di Venezia. O negli States per incontrare alcuni condannati a morte: ad Huntsville in Texas, o a Draper nello Utah state prison, dove nel ‘96 era stata ripristinata la fucilazione. Ma non mi era mai balenata l’idea di trascorrere giorni, mesi, anni in un carcere. Accettai, soprattutto per la curiosità di tentare un’esperienza nuova”.

Poi?

Dopo il primo anno, tutto risultò così nuovo, così potente, così interessante, da indurmi a continuare. Conobbi CarteBollate

Di che si tratta?

E’ un giornale scritto, pensato e finanziato dai detenuti del carcere di Bollate. Nasce nel 2002 con una tiratura attorno alle mille, milleduecento copie. La redazione è formata da circa venti detenuti e detenute – a seconda dei periodi e con eccezione per il periodo di pandemia – supportati da alcuni volontari giornalisti professionisti ed esperti di comunicazione. La direttrice è Susanna Ripamonti. Testata autonoma, registrata presso il Tribunale di Milano. I lettori sono i detenuti di Bollate, gli operatori del carcere, ma è distribuito per posta a giornalisti e magistrati e a chi ne fa richiesta. Si può ricevere a casa attraverso una donazione di 25euro annui. Il valore aggiunto rispetto ad altre testate è nella sua mission.

Che è?

Promuovere una nuova cultura nel carcere e imporsi come strumento di democrazia interna e dibattito con l’istituzione carceraria. Dal 2011 ha avviato un’attività di formazione rivolta alle scuole di giornalismo, organizzando seminari sulla rappresentazione mediatica del carcere. Ma si è andati avanti.

Cioè?

Il Gr Bollate è uno dei prodotti del Laboratorio Teleradioreporter, che dirigo dal 2014.

Obiettivo?

Il Laboratorio si propone di avvicinare le persone ristrette alla comunicazione radiotelevisiva. Anche qui la composizione della redazione cambia a seconda dei periodi. Nei primi anni è stata mista, con la partecipazione di quindici, venti detenute e detenuti, integrati da sette, otto studenti di giornalismo dell’Università Cattolica di Milano. Pandemia e conseguente lockdown hanno ristretto di molto la redazione che ora sta riprendendo vita e oggi è suddivisa in gruppi, femminile e maschile. Hanno partecipato e partecipano detenute, detenuti di ogni tipo, rango, nazionalità e reato. Uniti dal desiderio di imparare, crescere, comunicare.

Parlano dei propri reati?

Il reato commesso non è mai materia di discussione. E aggiungo, di discriminazione. Ognuno conta per quello che fa sul momento, per come agisce e come si comporta. Ho dovuto reprimere non poco il mio spirito giornalistico, trovandomi di fronte a persone protagoniste di clamorosi casi penali mediatici.

In che senso?

Nessuno scoop per raccontare la prigionia di questo o quella killer famosi. L’impegno massimo, al contrario, per creare un gruppo di lavoro palpitante. All’interno studiamo, discutiamo, dibattiamo ci esercitiamo nella lettura, dizione e scrittura, sceneggiatura, riprese radio e tv), montaggio. Produciamo un Gr alla settimana, trasmesso da Jailhouserock, programma curato da Antigone e messo in onda da Radio popolare.

Abbiamo prodotto documentari radiofonici e televisivi, alcuni di questi trasmessi dalla Rai (Gr1 e Tg2Dossier) o premiati nel corso di eventi prestigiosi come il Premio Morrione.

I contenuti?

Spaziano da temi legati alla vita del carcere a tematiche come la spiritualità, le neuroscienze, le nuove povertà, la guerra in Ucraina vista attraverso gli occhi di detenuti ucraini a Bollate. Interviste con personaggi di spicco che entrano a Bollate, scrittori, magistrati, cantanti registi.

Le reazioni di chi vi ascolta?

Sulla possibilità di portare all’esterno la propria voce, alcune reazioni significative si possono ascoltare nel podcast sul nostro Laboratorio realizzato, come tesi di laurea, da Martina, studentessa della Cattolica. Ve ne virgoletto un paio: Ivan: “Quando mia zia mi ha detto: Ti ho sentito in radio, solo allora ho realizzato. Fuori le persone mi ascoltavano. E da lì mi si è aperto un mondo, ho cominciato ad appassionarmi, ho cominciato ad ascoltare la radio per prendere spunto da conduttori radiofonici esperti. Ed è iniziato qualcosa che mi permette di essere più vicino alle persone fuori.” Giuseppe:Spesso là fuori pensano che qua dentro non ci siano persone di cultura, persone che provano sensazioni e le sanno anche esprimere. E invece poi ci ascoltano e restano basiti e si accorgono che qui ci sono persone pensanti, che creano, che sanno raccontare e portare fuori le proprie emozioni.” Elena.In carcere ci sono persone che ogni giorno cercano di dare un senso a quello che hanno fatto e spesso al loro futuro. E questo non è condiviso da chi è fuori, che non ci conosce. Che non sa quanto fatichiamo, pensiamo, studiamo. La radio può essere uno strumento fondamentale perché tutto ciò che si ignora fa paura.  Più si conosce il carcere, più si comprende che noi siamo come voi. Martina: Abbiamo solo varcato la linea che c’è tra restrizione e libertà. La mia esperienza di radiofonica in carcere mi ha permesso di far capire al mondo fuori chi è Elena.

La radio si aprirà ad altri detenuti?

La collaborazione di nuovi detenuti è sempre aperta. Siamo una struttura in movimento anche perché, per fortuna, prima o poi alcuni redattori ci lasciano per tornare in libertà, parziale o totale. Di recente le new entry sono un ex magistrato, un giovane informatico, un esperto in telecomunicazioni dalla Nigeria, un bravo artista trentenne e una ragazza 28enne proveniente da San Vittore, italo-rumena, che dopo una parte di vita tumultuosa sogna ora la normalità e, se serve per ricominciare, anche la noia. Con i nuovi e la vecchia guardia, sto impostando la ripresa autunnale, dopo una pausa estiva.

Come è strutturata la programmazione?

Nei nostri piani domina il Gr settimanale, ma poi c’è in produzione un documentario audio e video per denunciare le carenze del reparto femminile rispetto al maschile, un podcast studiato come un docufiction audio, che racconterà in dieci puntate la storia di un detenuto iconico, dal suo ingresso in una casa circondariale al suo passaggio in casa di reclusione, attraverso tutte le tappe che lo porteranno in un istituto che applica il trattamento avanzato, come Bollate. Le parti di fiction saranno recitate dai detenuti che partecipano al laboratorio teatrale.

La radio, il giornale radio uno strumento politico?

Gli strumenti della comunicazione hanno un’anima anche politica. Nel caso del carcere concorrono a mantenere alta la coscienza critica dei detenuti, riprendere la propria identità, inquinata rispetto a se stessi e alla società dal reato commesso. E a far conoscere tutto questo al mondo esterno.

Cosa proporrete alla Ministra?

I nostri piani futuri: creare una rete di informazione tra diverse carceri, partendo da esperienze parallele presenti in Italia. Fino ad arrivare a gemellaggi con carceri più distanti, come quello di San Quentin, California, dove il podcast Ear Hustle, ideato e condotto dai detenuti del maggiore carcere californiano, si è imposto come punta di diamante, vincendo tanti premi internazionali.

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