Paura di perderti
paura che non mi amerai più
se avrò la forza di
rompere
l’incantesimo.
Paura di svegliarmi
sola
nel letto
senza poterti abbracciare e dirti
che ti amo.
Così ti stringo forte
un abbraccio così grande che avvolge il mondo
così forte da spezzare le catene della paura.
Ma l’idea di perderti fa male, brucia
come aghi di ghiaccio che trafiggono il cuore
lo fanno sanguinare
e le gocce di sangue sono lacrime che
mi rigano le guance.
Ho paura di perderti
e di andare alla deriva
nel mare
tempestoso
dei miei pensieri
senza
il timone
che tiene la rotta.
Ho paura di affogare
negli abissi della mia mente
dove trovo gioielli
e fiori incantati
che colgo per te
ma dove si nascondono
mostri
che potrebbero mangiarmi l’anima.
Colpi di machete
Persone che
procedono
nella giungla
in fila indiana
lungo un sentiero battuto.
Passo dopo passo
avanzano
scacciando gli insetti
e asciugandosi la fronte dal sudore
in mezzo ad una vegetazione lussureggiante
e a continui richiami di animali
che ogni tanto si palesano
fugacemente
saltando da un ramo all’altro.
Di sera si accampano
mangiano intono al fuoco
si riposano dalle fatiche della giornata.
Io facevo parte di quel gruppo
insieme ai miei figli e al mio amore.
Mi piaceva
anche se ogni tanto
dovevo
uscire dal sentiero
perché
mi stava stretto.
Ora ho
dovuto
lasciare il gruppo:
non potevo più
camminare
insieme a loro.
I miei figli
e il mio amore
sono rimasti là
insieme agli altri.
Io
avanzo
con fatica
a colpi di machete
tra la vegetazione fitta
lungo la mia strada.
La sera
spesso
torno da loro
bivacchiamo insieme
parliamo
ridiamo.
Di giorno
a volte
nuotiamo nei laghi
o li aiuto a costruire
una canoa
per attraversare un fiume.
Ma poi,
devo salutarli
e ritornare
lungo la mia strada
sola.
È il destino
doloroso
delle persone come me.
Per trenta anni, Andrea. Oggi è Sonia Zuin.
Due anni fa si è avviata quella che lei, 53 anni, milanese, docente al Dipartimento di ingegneria meccanica al Politecnico del capoluogo lombardo, chiama transizione di genere
Un cammino doloroso, che non ha lacerato i rapporti né con i suoi genitori, né con la sua ex moglie né con i suoi due figli, e che si può attraversare leggendo le sue 60 poesie, raccolte nel libro Percorsi silenziosi – pubblicato alcuni mesi fa da Le Mezzelane Casa editrice – e suddivise in tre sezioni. Ognuna corrisponde ad una fase della sua vita.
Si passa da La pioggia bagnava le nuvole, scritte prima di essere consapevole di avere difficoltà, agli Abissi quando esplodono i conflitti tra le sue due anime – agli Spiragli, quando Andrea e Sonia smettono di essere treni in corsa, impazziti l’uno contro l’altra, e Andrea spalanca la porta per lasciare andare via Sonia che ha imparato a farsi largo nella sua foresta a colpi di machete.
In questo lungo e faticoso viaggio, Sonia ha avuto due strumenti di resistenza: la poesia e la musica. Suona la chitarra classica, quella acustica e l’elettrica – anche se questa l’ha un po’ abbandonata – e per tanti anni ha fatto parte di un gruppo rock, i Crabway, che hanno autoprodotto tre cd.
Lontanissimi i ricordi in cui Andrea si sentiva come un petalo sfacciatamente diverso, o anima rinchiusa nelle segrete, indegna di essere vista, colpevole di essere donna, oggi Sonia vive in pienezza la sua vera identità .
Ma ripercorriamo la sua storia con lei.
Sonia, ricordi i primi momenti di difficoltà?
Sì, erano gli anni della maturità. Studiavo tedesco al liceo Scientifico e mi appassionai alla lettura del libro Il lupo nella steppa di Hermann Hesse. Quel libro mi illuminò sulla possibilità che in una persona potessero convivere due nature diverse. Andando un po’ più indietro? Avevo un’attrazione particolare per i guanti, che desideravo tanto indossare. Però, mi vergognavo di farlo. Crescendo, questa attrazione si è focalizzata sulle donne che indossavano i guanti. Verso i diciotto – vent’anni, ho capito che ero io a desiderare di indossare i guanti da donna. Così è iniziata la lotta con me stessa. Ricordo la prima volta che ebbi il coraggio di entrare in un negozio per comprare un normalissimo paio di guanti di pelle neri sfoderati, ovvio, da donna. Uscii dal negozio, li indossai subito e la sensazione fu indescrivibile. Tornai a casa, li nascosi perché non potevo far vedere ai miei genitori cosa avevo comprato, e ogni tanto li indossavo di nascosto. Ma poi, poco per volta, tornava dentro di me il desiderio di normalità e di essere come i miei amici. Dopo qualche mese li buttai con il proposito di chiudere con quella faccenda. Passarono alcuni mesi ed ero di nuovo in quel negozio per comprarne un altro paio. Il desiderio di possederli diventava insostenibile. Da quando ho iniziato la transizione e vivo la mia quotidianità come Sonia, mi sono liberata dal bisogno psicologico di indossare i guanti. Li ho declassati ad un bellissimo accessorio – che indosso frequentemente –svuotato di ogni magia. È stata una grandissima liberazione. Evidentemente i guanti rappresentavano nel mio inconscio il mio io femminile, che non avevo il coraggio di esprimere, ma che aveva bisogno di emergere.
C’è stato un episodio che ti ha spinta a dire basta?
Non c’è stato un episodio, solo la consapevolezza che non potevo più andare avanti così perché era in gioco la mia salute. Ma questo è successo trent’anni anni dopo il primo acquisto di guanti. In mezzo c’è stata una vita molto bella e gratificante sono tutti gli aspetti, affettivo, con mia moglie e i miei figli, relazionale con i tanti amici e professionale. C’era nella mia vita una zona d’ombra. Sono riuscita a gestirla per tanto tempo, poi è diventata sempre più sempre più opprimente.
Tua moglie, una persona molto importante nella tua vita. E’ stata un po’ lei a tirar fuori la tua parte più creativa.
Sì, è stata una persona molto importante. Agli inizi abbiamo sempre giustificato la mia attrazione per i vestiti femminili. Ci dicevamo che ognuno ha il suo lato maschile e femminile. Con il senno di poi, è stato il modo più efficiente per continuare a vivere insieme, quello che entrambe volevamo, senza scoperchiare il vaso di Pandora.
Nei tuoi sette anni di travaglio chi ti ha subito compresa e aiutata?
Io e mia moglie ci siamo scontrate tantissimo perché nessuna voleva perdere l’altra, ma io dovevo iniziare la transizione e mia moglie non poteva accettarlo. Al di là degli scontri, mia moglie, in realtà, mi è stata sempre vicina. Per qualche anno nessuno sapeva di questa faccenda, poi ho incominciato a parlarne con gli amici e i colleghi più cari, scoprendo che, superato lo sbigottimento iniziale, per nessuno era un problema. Ai miei genitori l’ho detto solo dopo che io e mia moglie abbiamo raccontato la verità ai nostri figli. Senza entrare nei dettagli, non ho avuto problemi con nessuno di loro. Ognuno aveva i suoi tempi per elaborare il mio cambiamento. E io li ho rispettati tutti. Ho la grandissima fortuna di essere circondata da persone che mi vogliono bene e che hanno saputo accettarmi. Nessuno mi ha deluso.
I tuoi figli?
Sono persone speciali. Per loro è stato molto difficile e doloroso, ma siamo riusciti a mantenere ottimi rapporti. Ci vediamo molto spesso e io e mia moglie ci aiutiamo reciprocamente. Mia moglie è stata particolarmente intelligente e lungimirante nel perseguire il bene di tutti, in particolar modo dei miei figli, favorendo l’armonia tra di noi.
Nel tuo percorso non hai mai avuto ripensamenti?
No, in generale è molto difficile che faccia cose a caso, e prima di iniziare la transizione ho impiegato anni per maturare la consapevolezza che dovevo farlo, anche se questo voleva dire lasciare la mia famiglia. Questa scelta è stata straziante, ma necessaria. La cosa più tosta? Prendere la decisione di parlare con i miei figli e iniziare il percorso. Mia moglie non voleva perché aveva paura delle conseguenze, ma poi abbiamo lavorato insieme, anche avvalendoci del supporto di una bravissima psicoanalista, esperta in problemi degli adolescenti. Con i miei figli abbiamo parlato io e mia moglie. E trovo che il nostro modo di gestire questa delicatissima situazione sia stata la base corretta che ci ha permesso di costruire un solido ponte verso il nostro futuro.
Quello che ti urta di più oggi, e in genere, come reagisci?
Io sono una persona pacifica e tollerante verso gli altri. Tutte le persone che interagiscono con me devono fare una loro transizione e ognuno ha i suoi tempi, che vanno rispettati. Anche se le cose vanno oggettivamente bene, il mio resta un percorso difficile, con i suoi inevitabili momenti di tristezza. In questi casi ho imparato a focalizzarmi su chi ha davvero grossi problemi, di salute, economici. O penso a chi vive in Paesi di guerra. E mi torna subito il buon umore. Riuscire a non avvitarsi a spirale sulle proprie difficoltà è un esercizio utile non solo a me.
Cosa devono fare i genitori di un ragazzo di 15 anni con dubbi sulla propria identità di genere, che a quell’età potrebbero essere passeggeri? Ci sono indizi da non sottovalutare?
Ho conosciuto genitori fantastici che accompagnavano il loro figlio, la loro figlia agli incontri di auto-mutuo aiuto. I genitori non devono mai smettere di supportare i loro figli, per quanto difficile possa essere. Ostacolarli nel loro percorso rende solo più gravosa e difficile la vita dei figli, e di rimando, quella dei genitori. Sicuramente i figli adolescenti possono iniziare un percorso di supporto psicologico, premessa indispensabile per ogni decisione futura, che ha lo scopo di capire se il bisogno di cambiamento sia profondo. Nessun indizio, a mio avviso, deve essere sottovalutato, ma alcuni sono veramente difficili da decifrare. Come i guanti nel mio caso. Penso che una società aperta ed inclusiva sia il contesto migliore per facilitare l’accettazione di se stessi.
Musica e poesia ti hanno aiutato a superare il tuo disagio .
Sì, adoro tutta la musica, dai canti gregoriani alla musica contemporanea, da Occidente ad Oriente. Quando lavoro ascolto sempre musica classica, in genere dal periodo barocco al primo novecento. I chitarristi che apprezzo? Eric Clapton, David Gilmoure, Jimi Hendrix, Jimmy Page, Mark Knopfler, Steve Hackett, Steve Howe. In generale mi lasciano indifferente i virtuosismi fini a se stessi. Tra i poeti, Ungaretti, Montale, Merini, Szymborska, ma anche Dante e Petrarca, anche se è da una vita che non li leggo più.
Il tuo grande sogno, immagino, l’abbia realizzato. C’è qualche altro progetto a cui tieni?
Di sicuro condividere la mia esperienza con altre persone, nella speranza che possa essere d’aiuto a qualcuno.
Cosa resta di Andrea? Non ti manca per niente?
Andrea, la mia parte razionale, non è andato in pensione. Collabora ogni giorno con Sonia per mandare avanti la baracca perché entrambi sanno perfettamente che insieme funzionano molto meglio. Diciamo che Andrea ha fatto un passo indietro, volentieri, perché ha capito che il front-man non era il suo ruolo. Negli ultimi anni mi ero molto chiuso,poco interessato al dialogo con persone che non conoscevo.Da quando Sonia vive nella quotidianità, ho scoperto di essere in realtà una persona molto socievole, molto bendisposta al contatto anche occasionale con le persone,esattamente come lo era mio padre.
Mi verrebbe da dire, non tanto
ironicamente: “intervista fatta con i guanti di velluto”; sobria, senza alcun eccesso né voglia di pruriginoso, nonostante la delicatezza dell’argomento.
Direi, altresì, fantastico l’equilibrio raggiunto dalla persona intervistata, sia con se stessa (considerata la convivenza interiore tra Sonia ed Andrea), sia con la sua famiglia (considerato l’ottimo rapporto con i figli e, comunque, la conservazione del rapporto “civile” con la ex-moglie).
E, in questi tempi di odio, rozzezza, orgia, non è poca cosa!
Amedeo, ti ringrazio per il tuo commento. Sarei bugiarda se ti dicessi che è stato facile; riflettendo però sulle tue parole ho capito che la ricerca di un equilibrio, mio e verso gli altri, e il rifiuto di “odio e rozzezza” era l’unica strada possibile. Un po’ perché io sono fatta così, ma soprattutto perché dopo la tempesta e la burrasca, c’è solo il desiderio di raggiungere una spiaggia assolata… Penso che l’odio sia solo l’espressione delle paure che non si riescono a superare, ma che si devono in qualche modo scaricare. E’ un processo mentale che non condivido, ma che capisco e non biasimo perché non è così diverso da quello che vivevo io quando dovevo ritagliarmi i miei spazi per far vivere Sonia nella realtà, prima di iniziare la transizione. Serviva per fare “sfiatare la pentola a pressione” e riuscire a mantenere la vita sotto controllo. Forse ognuno di noi ha la sua pentola a pressione sul fuoco, piccola o grande non importa, e ognuno si inventa i suoi modi per fare in modo che la pressione non salga troppo. L’odio verso gli altri è un palliativo perché non spegne il fornello, anzi… diciamo che potrebbe rappresentare la valvola che si aziona per mantenere costante la pressione all’interno e che serve per poter mantenere il fuoco acceso…