in ,

Gaza, Abdallah Inshasi: Quando faccio parkour sono libero

�Quando faccio parkour mi sento libero e attivo. A Gaza non c’� niente, non c�� lavoro e tutti i giorni sono uguali. Non possiamo uscire. Il territorio � molto piccolo e ha una densit� di popolazione molto alta. Hai la sensazione di soffocare. Faccio parkour per non impazzire�. https://www.youtube.com/watch?v=3pGnNfkcM-s

A parlare � Abdallah Inshasi, nato nell�88 a Khan Younis, a sud della striscia di Gaza, che � riuscito a far conoscere il parkour – uno sport nato in Francia ad opera di  David Belle- nella sua terra e a farla diventare uno strumento di distrazione e ribellione per tanti giovani senza speranza. Ha fondato il Gaza Parkour And Free Running, una squadra in cui sono pi� di cinquecento quelli che seguono gli allenamenti. https://www.youtube.com/watch?v=Gv87LYNfaR4

�Il parkour serve a tracciare un percorso � spiega Abdallah,  che oggi vive in Toscana- e a intraprenderlo in meno tempo possibile, anche con prestazioni acrobatiche. Ma � anche l’arte di superare ostacoli. Sono salti e capriole per oltrepassare muri, ringhiere, scale.  Ho cominciato nel 2005, da solo, quando ho visto i film Jump London e Distretto B�13. Molti ragazzi in Palestina avevano iniziato prima, quando, con il piano di disimpegno, gli israeliani hanno lasciato Gaza.

Non � uno sport rischioso?

Il rischio fa parte della vita di chi nasce in quella zona. S�, il parkour � rischioso. Una volta ho rotto tutti i denti. Un�altra volta uno della nostra squadra, Mohammad Zaqout, � caduto dal quinto piano di un palazzo che stava scalando. A distrarlo, � stata una troupe televisiva. Ha perso quasi tutti i denti e riportato cinquantacinque fratture.

Ma non hai paura?

Se vuoi veramente fare qualcosa, non c’è niente che ti possa fermare. Perchè, bisogna lavorare tanto. Ed essere motivato. Tanti adesso fanno parkour per moda, ma non è la stessa cosa. E’ dura, ma quando riesci, ti senti libero. Il problema che non abbiamo una palestra, anche volendo costruirla. Non abbiamo i permessi. Senza materassi, nè attrezzature, è tutto più rischioso, ovvio. L’allenamento ideale è di quattro ore al giorno per quattro giorni la settimana.

Quando avete iniziato?

Quando sono andati via gli israeliani abbiamo cominciato a frequentare le dune di sabbia vicino al mare. Riempivamo di sabbia grossi sacchi di cemento che impilavamo per creare degli ostacoli, con copertoni di automobili. Poi ci siamo spostati al cimitero, perch� l� non c’è quasi mai nessuno, solo silenzio, un senso di pace, e i muri sono ideali per fare parkour.

Ma a Gaza non si praticano altri sport?

S�, ci sono tante attivit� sportive, anche arti marziali, perchè il parkour è diverso perchcè, in caso di guerra, sei fisicamente pronto ad a portare soccorso.

Ci sono stati momenti di grande pericolo durante gli allenamenti?

Nel 2012, il primo giorno dei bombardamenti, ci stavamo allenando vicino la spiaggia, quando improvvisamente ci sono state esplosioni a poca distanza. Non ci siamo fermati, alcuni di noi hanno filmato. Oggi il video è su internet, ed è quello che ci ha fatto conoscere al mondo. Il filmato si intitola: “Despite the Pain, There is Hopeï

Come viene visto nella tua terra uno sport come il parkour?

All’inizio con molta resistenza. All inizio si pensava che volessimo far colpo sulle ragazze. A qualcuno dava fastidio che ci allenassimo al cimitero. Con l’attenzione dei media hanno cominciato a rispettarci. In Italia è diverso. Qui sono colpiti dalla mia storia.

Come sei arrivato in Italia?

Grazie ad un progetto culturale che coinvolgeva anche altri miei connazionali. Da allora ho chiesto asilo politico. Ho abitato in vari centri di accoglienza del Sud, a Roma e a Firenze. Ho vissuti momenti difficili abitando in strada per parecchi mesi, in inverno. Non tutti sono disposti ad accoglierti, se parli solo arabo e non hai un euro in tasca. Oggi abito in Toscana con la mia ragazza, https://www.facebook.com/Mathilde-Ferghina-924048610965736/ , fotografa e altre persone. Faccio lavori saltuari quando riesco a trovarli, poi cerco di portare avanti il pi� possibile progetti con il parkour.  Spero di tornare a Gaza. L� ci sono la mia famiglia, i miei amici, la squadra e tutti i miei ricordi. Sento nostalgia per il profumo della sabbia e del mare di Gaza. Non � facile tornarci. Il valico � sempre chiuso e per ottenere documenti e autorizzazioni possono passare tanti anni. Ma so che anche da lontano posso aiutare il mio Paese.

I tuoi sogni?

Stare tranquillo. Trovare un posto in cui proporre attività culturali, viaggiare. Adesso sto portando avanti molti progetti. Oltre ai workshop di parkour, faccio delle videoconferenze con la mia ragazza in giro per l’Italia. Lei illustra i suoi lavori, illustrazioni sul Gaza Parkour. Vorremmo  farne un libro e pubblicarlo in cinque lingue. Per autofinanziarci facciamo queste conferenze.

Ti senti un tipo tosto?

Questa vita vuole che tu sia forte, per forza. E poi questo sport mi incoraggia a essere deciso di fronte agli ostacoli.

                                                                                                                                                                                                    Cinzia Ficco

 

 

Comments

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Loading…

0

Commenti

0 commenti

What do you think?

Written by Cinzia Ficco

Satolli: È ora che lo Stato ci dia "credito"