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Aut- Out: Lettere dall’autismo. Uscita l’autobiografia di Carlo Ceci Ginistrelli

E’ uscito Aut- Out Lettere dall’autismo di Carlo Ceci Ginistrelli, 27 anni, affetto da quello che egli stesso chiama una fregatura col botto.

Il libro è stato pubblicato da Durango Edizioni, la casa editrice dell’antropologo pugliese, Felice Di Lernia, che ha creduto subito, anzi, stimolato il progetto.   

“Sabrina – ci dice l’editore- che affianca Carlo Ceci Ginistrelli nel suo faticoso percorso esistenziale, un giorno mi chiede di leggere delle cose, che a lei sembravano molto belle, e di darle un feedback. Dopo pochi giorni ci siamo seduti tutti e tre intorno ad un tavolo e abbiamo iniziato a pensare ad una idea editoriale (il blog, dapprima, e il libro, dopo) che oggi, dopo un anno di lavoro, si è definitivamente concretizzato ed è entrato nella sua fase più importante.  Grazie a questi scritti è possibile avere un’idea, seppur molto incompleta, di quanto la vita di Carlo sia stata pesantemente condizionata dall’autismo. Non è tanto il fatto di non aver mai parlato che, in altre condizioni, avrebbe potuto anche essere una cosa sopportabile, quanto l’impossibilità di ovviare alla sua non-verbalità con altre forme di linguaggio. L’unico ponte tra Carlo e il mondo esterno è la scrittura, con tutta la fatica che questa comporta quando si deve scrivere mettendo ordine, consonante per consonante, vocale per vocale, quando domina l’ingovernabilità dei gesti e delle pulsioni. Questa enorme barriera non ha impedito a Carlo di dedicarsi alla sua grande passione, lo studio, ma per farlo è diventato un lottatore. Uno molto speciale, perché il suo avversario non è un nemico sconosciuto, ma dentro di sé”.

Felice Di Lernia, da oltre trent’anni si occupa di autobiografia e per questo, nell’ambito della sua casa editrice, cura personalmente la collana di scritture diaristiche e autobiografiche, Chilometro Zero, di cui fa parte AUT | OUT Lettere dall’autismo.

Ecco un estratto del libro

Solitari senza essere soli

Oggi vorrei iniziare a raccontare il mio cammino. Sono Carlo.
Mi chiamo Carlo.
Un cammino per i sentieri della vita e, come penso per
tutti, ricco di salite, discese, curve e percorsi da rifare, ma il
mio cammino è per sentieri paralleli, non affollati, ma
solitari. Solitari senza essere soli. Solitari senza essere
inutili. Solitari senza essere noiosi. Un cammino nel silenzio
e nell’ascolto, nell’ascolto delle voci del mio silenzio e del
mondo. Il mio silenzio è rumoroso e a volte troppo
faticoso. Non sempre amo il mio silenzio, a volte vorrei
urlare, sentire il suono delle mie urla e sentire le note di una voce che non esiste, che non sgorga, ma che rimane
intrappolata nel mio corpo.
Ma io una voce ce l’ho? Sì, ho una voce, una vera voce,
quella dell’anima, quella che non esce con suoni e che non ha note. La mia voce è nei miei pensieri, nei miei sogni, nei miei esercizi dove, nel tentare di spingere fuori il fiato con forza e nel tentare di modulare quel fiato, riesco solo a emettere note stridule e fastidiose.
Allora, meglio il mio silenzio, rassicurante e armonioso.
Ma io non so dove mettere dentro di me tutti i miei
pensieri, diventano troppi e si aggrovigliano e si perdono e
non voglio perderli perché perderli significa non esistere.
Voglio vederli, i miei pensieri, per conservarli e riprenderli
e costruire il mio cammino. Così il mio dito inizia ad essere lo strumento che mi aiuta a catturare i pensieri, a non perderli, a conservarli per poter rivederli e dipingerli con i colori delle emozioni.
Inizia il mio cammino col vento nei capelli e avvolto da un
mantello che custodisce il baule dei miei ricordi e si apre per aggiungere una nuova collezione di emozioni che saranno la mia vita in cammino. Tenterò di non perdere il mio dito cattura- pensieri. Frammenti scriverò, piccole frasi o lunghi discorsi che saranno il mio cammino e il mio baule dei ricordi.

Inizio del cammino

Tenterò di portare su un foglio i miei pensieri. Tenterò di
riportare su un foglio un mondo che ama vivere anche se a
volte sembra guardare la vita che scorre.
A volte mi sembra di essere alla finestra di un bel palazzo
comodo e confortevole e lì seduto guardo e osservo la vita.
Quella vita che posso vivere solo a pezzi, o meglio in maniera diversa. Quella vita che mi fa paura e mi attrae. Quella vita che
tento di vivere e che quando ci provo mi rendo conto che non mi appartiene. Amerei far la vita dei ragazzi della mia età, poter essere autonomo, libero di essere completamente
autonomo, ma poi mi rendo conto che sono solo assaggi
sterili di una vita che non è la mia. Accettare quindi
un’autonomia a metà mi porta a stare alla finestra e a
guardare e tentare di capire se quello che non ho è davvero
importante e se accettare è davvero un ripiego. Sto entrando
dentro un universo di sensazioni che confondono il mio animo portandomi a riflessioni che sembrano appartenere ad un mondo parallelo. Tentare di descriverle non sempre mi riesce, avrei bisogno di folleggiare con le parole e con i colori, le mie sensazioni sono a volte
tratte da flash scattati davanti ad una parola o ad un
incontro o ad un attimo vissuto intensamente.
Poi un tramonto mi entra dentro, porta pace e porta la
sera, un fraseggio penetrante può sconvolgermi
portandomi felicità, sgomento…
Tutto questo mi serve per vivere e capire e soprattutto
per capire cosa mi porta serenità.

Le mie parole silenziose

Poi le immagini saranno raccontate e dipinte non nell’aria con parole in volo, ma con parole pensate e scritte portando
lentamente il dito sui tasti del vecchio PC di mio fratello. Porto con me un baule di ricordi enorme e ogni tanto amo aprirlo. Mi siedo, levo la polvere e starnutisco nella sua nuvola, delicatamente sollevo il coperchio e i ricordi si svegliano e assonnati riprendono a vivere, si colorano e portano alla luce il mio cammino.
Oggi mi sono svegliato pensando ad un giorno di tanti anni
fa, quando vivevo ancora la mia fanciullezza e usavo andare in montagna con mio fratello che era capace di accendere in me entusiasmi di beata sfida con me stesso. Le salite in montagna alla scoperta di nuovi posti, la voglia di arrivare in cima, scatenavano una grinta di conquista che accomunava tutti.
Creava un’unione di sentimenti che portava il piccolo gruppo
ad essere di reciproco sostegno e di reciproco rispetto.
L’unione che si creava ci rendeva forti e le difficoltà si
allontanavano. Tutti erano allegri e gioivano dei colori e dei
paesaggi e ammiravano la bellezza del creato. Quando mi
trovavo su quei sentieri dove i piedi si alternavano portando tutto il peso del corpo con maestria, il mio silenzio
prendeva voce.
Il poter usare il cammino per entrare nel mio mondo
parallelo mi rendeva parte del mondo. La facilità del compito fisico, la sicurezza del gruppo, la voglia di raggiungere la meta erano le componenti meglio assortite per unire i due mondi.
Nulla li separava perché il silenzio delle voci regnava e la
musica del creato era assordante.
Sembrava che io fossi avvolto in una nuvola dove tutto era
morbido e fluido, dove le difficoltà erano facoltà e viceversa. Il mondo dei sogni si svelava quando questi, dopo sentieri bui e sepolti tra rocce, si aprivano e l’immensità emergeva silenziosa e rassicurante. Essere in alto tra le cime a contatto col cielo mi dava una pace interiore. Mi sentivo come gli altri mentre le mie parole silenziose volavano verso Dio.

Tento di vivere

Io poi mi ero sentito poco felice nei giorni scorsi, la mia vita
sembrava che rotolasse giù per un pendio scosceso e nonriuscisse a fermarsi. Il vortice dell’ansia mi travolgeva e mi
faceva rinchiudere nella mia cuccia. Mi portava a non
vedere altro che turbinio di vita dove tutto volava via
velocemente e tutto era poco afferrabile, tutto mi
travolgeva terrorizzandomi. Le strade non avevano senso,
vedevo macchine che si incontravano e si scansavano per
miracolo, dove rumori si amplificavano diventando stridori
di note assurde. Frastuoni, rumori e macchine veloci
sorprendevano la mia persona, ero attirato dalle loro linee
ideali che vedevo, che mi risucchiavano. Avrei voluto cadere
sotto quelle auto sfreccianti. Il loro era un rumore, un
muoversi che mi attirava e mi spaventava. Io ero lì in gabbia.
Nella gabbia del mio corpo trattenuto dalle mani dei miei che
tiravano a loro il mio corpo, ma la mia mente frollava sotto le
macchine che sfrecciavano. La mente poi si rifugiava nel corpo,
ma io sentivo tutto il caos dentro e mi sentivo male.
Ero a Torino. Ho amato quei giorni, lì con la mia famiglia
per chiudere casa di mio fratello in partenza per l’Inghilterra.
Ho amato essere con loro, il loro amore, dedizione assoluta a noi figli e a noi famiglia. Io ero lì con tutto il corpo, ma non con tutta la mente, in casa recuperavo energie per affrontare lo stress delle strade invase da sfreccianti automobili.
Oggi, sabato, siamo tornati da una settimana e quando mi
sono alzato e non ho trovato più l’ansia come sveglia del
mattino, ma armonia di vita, ho ringraziato Dio e ho amato le parole di mia madre serena e affettuosa. Oggi il vento soffia con forza e mi ha impedito di montare a cavallo e mi ha permesso di mettere parole che fluide sgorgano dal mio
dentro e attraversano i tasti del mio PC, si bloccano su un file nuovo. Il vento soffia e porta via questa pagina di vita, e ne apre un’altra. Un periodo di routine senza stress mi aspetto.

Parole segnate e sognate

Beato pomeriggio per riaprire il baule, la pioggia violenta e poi leggera, fresca poi calda, porta in sé la dolcezza del poter
passare un po’ di tempo con me stesso. Amo la lentezza di
questi momenti. Il rumore della pioggia fa da sottofondo e
i tuoni irrompono con delicata irruenza. Amo questi
pomeriggi lenti e il baule si apre con delicatezza. Felici
sensazioni prendono vita nel ricordo di una passeggiata a
cavallo. Porta con sé il ricordo di umido forte e inebriante: gli odori erano esaltati dalla pioggia ed erano esuberanti,
fastidiosi, esageratamente invadenti. Ero frastornato,
come ubriaco. Per tentare di gestire quella ubriachezza
cercavo di dare un nome a quegli odori di fiori, frutta e
terra mischiati insieme e insieme assortiti come i colori
della tavolozza di un pittore. Mi guardavo intorno e i colori
erano anch’essi intensi e lucidi: brillavano e coloravano il
paesaggio come un quadro. Ricordo il cielo, con il nero delle
nubi illuminate dal sole da dietro sembrava un disegno
irreale, i raggi del sole ogni tanto riuscivano a fare capolino
illuminando un ballone di paglia di color oro o un filo di erba, portando gioia nel mio cuore. Quegli odori sono sempre vivi quando piove e ogni volta il quadro cambia e il ricordo si rievoca e ora si aggiorna con delle parole segnate e sognate.

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