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Aziende di famiglia: come si risolvono i conflitti? I consigli di Alessandra Bussi Moratti, psicologa

“Una volta ho provato a mettere pace tra un imprenditore junior – che voleva destinare risorse per digitalizzare l’azienda di famiglia – e suo padre, un tipo ipercontrollante, che preferiva spendere la somma necessaria ad innovare l’impresa per comprare al suo erede una Ferrari. Un’altra volta ho cercato di portare ad un compromesso un imprenditore che, pur avendo bisogno di un successore, non voleva far entrare in azienda sua figlia, di 20 anni, pianista, per non caricarla di impegni e responsabilità già a quell’età. Altre volte ho mediato tra figli e padri che, grazie ad un modello protettivo di interazione familiare, non si decidevano a cedere completamente la poltrona al proprio successore senza rendersi conto di mettere in serio pericolo la longevità dell’azienda stessa. Stavano confinando la propria impresa ad uno stato di impresa senza continuità. Molti gli imprenditori giovani che mi chiamano dal Sud, mentre dal Nord mi contattano i senior. E tante volte i nodi si sciolgono”.

Così Alessandra Bussi Moratti descrive l’attività che svolge da una quindicina d’anni e l’ha portata a salvare numerose aziende di famiglia, influenzate da dinamiche psicologiche contaminate.

Milanese, una Laurea in Psicologia Clinica alla Sapienza di Roma, ha iniziato ad appassionarsi ai problemi di cuore e cervello delle pmi italiane quando un suo professore universitario le chiese di preparare alcune lezioni conclusive dell’anno accademico per il corso di laurea in psicologia del lavoro e delle organizzazioni.

Dopo una decina d’anni di attività clinica in strutture sia pubbliche che private, decide di voltare pagina per iniziare una nuova avventura nel mondo delle imprese familiari.

La sfida con se stessa era quella di provare a comprendere ed interpretare la mentalità e il temperamento degli imprenditori che, a volte per dinamiche sconosciute, inconsapevoli, possono mettere a rischio la vita della propria azienda, a cui sono legati da un rapporto generativo intenso. “Ho messo a punto un metodo utile a sbrogliare casi abbastanza complessi. Senza metterli sul lettino, perché non vogliono che i loro pensieri possano essere osservati nel profondo. Temono di essere giudicati. Scavo sino a quando mi è possibile e fin dove non rischio di complicare rapporti particolarmente conflittuali. A quel punto, consiglio di intraprendere un percorso psicoterapeutico familiare con altri colleghi terapeuti”.

Nella nostra chiacchierata Bussi Moratti fa sapere che non esiste un modello universale di composizione dei conflitti sia tra imprenditori che tra manager, ma il suo ABM Method, descritto nell’ultimo suo libro (Good Practices e made in Italy: quattro casi di eccellenza – Logica d’Impresa e Passaggi generazionali, steso assieme all’economista Alessandro Galano, con la Prefazione di Francesca Pasinelli, alla guida di Telethon, e pubblicato da Franco Angeli) funziona perché mescola elementi di psicologia dinamica e tecniche di coaching. Questionari, colloqui, giochi apparentemente superficiali che, al contrario, le permettono di comprendere la ragione di eventuali ostacoli, problemi, contrarietà.

Un esempio? “Il vecchio imprenditore che non voleva investire in innovazione. Se succede qualcosa di irreparabile, ripeteva, io non saprei dove mettere le mani. In quel caso ho provato a convincerlo che doveva fidarsi un po’ degli altri, di suo figlio e di chi aveva competenze diverse dalle sue. Delegare e vivere più serenamente la vita della azienda, senza sovrapporla a quella familiare: questo il rimedio che ha fatto superare la caparbietà e la paura del nuovo”.

La psicologa nelle sue consulenze aziendali si muove tenendo conto di tre ambiti: patrimonio, famiglia, azienda. E fa in modo che rimangano distinti.

Un altro caso di come funziona il suo metodo? “F. è un imprenditore di prima generazione che chiede una consulenza per risolvere i conflitti tra i suoi due figli che minano lo sviluppo dell’impresa. Il maggiore dirige l’area produzione, quello più giovane la commerciale. I due fratelli litigano frequentemente e non si parlano. Non c’è collaborazione fra le due aree che dirigono e il conflitto si  allarga al personale I dipendenti si relazionano in base ad alleanze interne. Il padre dei due dirigenti si interpone fra i due, fa da punto di collegamento fra i figli e gestisce gli inconvenienti dovuti all’assenza di un diretto dialogo fra i due gruppi di lavoro. Per affrontare queste problematiche abbiamo avviato un percorso di Coaching Generazionale.

(ABM Method) suddiviso in vari step: nel primo, c’è l’incontro con il fondatore dell’azienda e i suoi due figli.  Si chiede ad ognuno di descrivere la situazione aziendale, il problema principale e creare una mappa relazionale, evidenziando capacità, fattori di rischio e criticità. Il fondatore è convinto che se non si interpone tra i due figli, l’azienda non sopravvive e che per evitare ulteriori crisi non può permettersi di abbandonare il suo ruolo. Gli si fa notare con l’ausilio di particolari tecniche, che il suo mettersi in mezzo evita certamente lo scontro diretto, ma anche il loro possibile incontro. Infine sono invitati a rispondere ad un questionario costruito ad hoc per raccogliere indizi sulla storia dell’azienda. Nel secondo passaggio, si incontrano i due fratelli per una ricostruzione accurata delle loro storie individuali. Dalle informazioni raccolte tracciamo una ipotesi: il conflitto tra fratelli dà al padre una funzione importante anche per la famiglia. E’ un uomo senza hobby e malato. Così lo si rende vivo”.

Poi? “A questo punto chiediamo ai due fratelli di fare una esperienza per testare la fiducia reciproca. Compito che i due svolgono in modo efficace. Scoprono di rispettarsi.  Poi vengono interpellati il fondatore e la moglie. Chiediamo alla signora di raccontare quanto succede in famiglia per analizzare le modalità relazionali e comportamentali utilizzate sia come moglie che madre. Ci troviamo di fronte a persone caratterialmente rigide, poco inclini a mostrare le proprie emozioni e con un equilibrio familiare disarmonico. Proponiamo dunque, al fondatore e a sua moglie, una serie di esercizi comportamentali per interromperne le dinamiche conflittuali. Con ulteriori test riusciamo a ristrutturare le relazioni danneggiate”.

Come si inizia? “Quando entro in una azienda facendo una similitudine, è come se mi trovassi in una stanza piena di fumo, dove so che ci sono degli oggetti tangibili e non tangibili, alcuni dei quali con un valore nascosto che nessuno vede e che devo assolutamente sapere fare ri-conoscere. Inizio guardando all’insieme: i numeri dell’azienda, il bilancio, la produzione, poi scendo nei dettagli, sfrondando quelli che sono i rami secchi. Come ho già detto, ogni azienda ha problemi e peculiarità unici. Quindi occorrono fiuto, capacità di improvvisazione, immedesimazione e comprensione della personalità dell’imprenditore che porta al successo la sua creatura quando è ben strutturata.  Come dice lo psicologo Martin Obschonka della Friedrich Schiller University di Jena (Germania)le persone con una struttura di personalità imprenditoriale sono più aperte a nuove esperienze, più estroverse e coscienziose. Sono persone meno ansiose e non tendono ad evitare i conflitti con gli altri”. Una struttura di personalità così non nasce dal nulla, ma è il risultato di fattori genetici che interagiscono con fattori culturali e ambientali”.

A sentire la professionista, che viene interpellata in genere in caso di passaggi generazionali non semplici, acquisizioni, cessioni, ricorso a finanza innovativa, meglio avere uno psicologo interno per gestire con il responsabile delle risorse

umane il personale. Ma è preferibile ricorrere ad un consulente esterno, imparziale, quando a rischio è il patrimonio dell’azienda. Aggiunge che le difficoltà la maggior parte delle volte si possono superare, se individuate subito e che il passaggio generazionale va pianificato per tempo.

“Non si diventa imprenditori per il semplice fatto che si è figli d´arte. L’imprenditore senior dovrebbe perciò incominciare a far respirare l’azienda a chi intravede come suo successore, sin da adolescente. L’azienda non deve essere vissuta come il prolungamento della propria casa. Certo, a volte ci si innamora da lontano dell’attività, come è successo alla pianista che il padre non voleva far entrare subito e che oggi si occupa del marketing dell’impresa familiare. Altre volte, non c’è entusiasmo. E a quel punto, è bene studiarne i motivi, senza pressare troppo. Quello che voglio dire è che certe pressioni, certi bollenti e ribelli spiriti si vedono subito. Meglio lavorare con largo anticipo per superare i punti di rottura. E soprattutto, non fare da soli. La figura esterna del Consulente Psicologo con quella del Crisis Manager, diventa fondamentale per accompagnare l’imprenditore in fasi come questa. Ormai i tempi sono cambiati e l’imprenditore di domani non sarà più quello di una volta”.

Più precisamente? “Restando sul passaggio generazionale, è bene che ad un imprenditore si chieda: cosa lui intenda per staffetta, a cosa questa debba tendere e come debba svolgersi. Quindi lavorare insieme perché il valore dell’azienda offuscato per anni dal fumo, per usare la metafora di prima, diventi visibile a tutti. Chiarirsi perché stare in azienda diventi un lavoro di squadra, in cui riconoscere e premiare singole competenze e scambiarsi consigli,  smettere la pratica dannosa dei ruoli sovrapposti assegnati magari per compiacere quell’amico o quel parente. Mi capita sempre più spesso di creare sinergie tra start up e aziende consolidate. Ne parlo nel libro. Molte volte l’innovazione è scomoda, viene vista come un alto rischio. Ma esistono anche i casi da prendere a modello in cui le grandi aziende non guardano più con altezzosità le giovani, innovative, ma senza risorse.  Succede allora che si facciano promotrici di startup anche attraverso la partecipazione a fondi di venture capital e ad acceleratori  dell’innovazione, quali business incubator. In Italia questo processo è molto più lento, ma si tende a considerarlo sempre più necessario”.

Per chiudere, la terapia perché il sistema delle aziende di famiglia superi questa fase di difficoltà e si attrezzi per il futuro? “Intanto è bene che in Italia si smetta di fare convegni inutili all’atto pratico sulle aziende di famiglia. E’ necessario creare confronti realmente produttivi tra imprenditori, in genere chiusi nella loro realtà, associazioni di categoria e Governo. Poi scordiamoci gli imprenditori alla Luisa Spagnoli che aveva un’idea e partiva. Oggi tutto è reso più lento dalla burocrazia. Da soli con le proprie idee e  la propria famiglia non si va da nessuna parte. Occorre allacciare rapporti più forti con le istituzioni locali per cambiare il sangue del proprio territorio, contribuire al suo benessere e diventare così davverosostenibili. Responsabilità sociale, innovazione, comunicazioni più fluide all’internotra vertici e base aziendale, maggiore responsabilizzazione di ogni singolo dipendente:  ecco da psicologa formativa aziendale sono questi gli unici rimedi chemi sento di consigliare per traghettare le piccole e medie aziende nel futuro”.

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  1. La tematica dei passaggi generazionali nasconde un mondo molto articolato e complesso di realtà, problemi e soluzioni. Alessanra Bussi Moratti, che si occupa professionalmente di questa materia, dando supporto ad imprese/famiglie che si trovano a dover prendere decisioni delicate, e spresso drastiche, sull’organizzazione futura dell’azienda, quale misura preventiva e di supporto. Purtroppo, i dati statistici dimostrano che molte delle piccole e medie aziende, non avendo l’accortezza e la lumgimiranza, finiscono il loro cammino di vita già al primo passaggio generazionale, con la morte del fondatore.
    Molto interessante l’ABM Method, creato ed utilizzato dalldottoressa Moratti, nato da una somma di esperienze e ben “confezionato”, quale approccio di medoto.

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