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Don Claude Duverney: “Mille chilometri a piedi e solo. Per sentirmi più vicino a Dio”

Mille chilometri a piedi e da solo.

La scusa, per gli altri, era ricevere dal Santo Padre gli auguri per il compleanno. Il motivo più profondo: sentirsi più povero e più vicino a Dio.

Lo raggiungo al telefono nella sua canonica a 1350 metri tra Aosta e il passo del Gran San Bernardo e con il suo eloquio, elegante e mistico, marcato da una r – che sta tra la francese e la tedesca- mi racconta della sua vita e del pellegrinaggio dell’estate scorsa.

Non è facile agganciarlo perché è molto impegnato. “Sa – mi dice – con il Covid devo celebrare messa più volte al giorno e prepararmi da mangiare. In questa fase non posso neanche pranzare con le suore. C’è un po’ di ansia, soprattutto per noi anziani. Ma sono abituato sia alla solitudine che ai momenti di tempesta. E non parlo solo di quella atmosferica”.

Inizia così a parlare di sé Don Claude Duverney, 80 anni il 30 settembre scorso, di origine svizzera, italiano da venticinque anni, ordinato sacerdote nel ’66. Una vita ed una fede simili alle piste da sci, che frequenta da anni e su cui si augura di tornare quanto prima.

“Da bambino ero attratto dai testi sacri, sono nato in una famiglia numerosa, dedita all’agricoltura, cattolica, in cui la pratica religiosa era vissuta con convinzione. La scuola non pesava e c’era anche il tempo per giocare. Ho potuto leggere libri, che in parte erano vite di santi e anche di missionari impegnati in vari continenti. Da lì, e anche da contatti con i preti della parrocchia, è nato in me il desiderio di diventare sacerdote. I miei genitori hanno accettato volentieri la mia scelta e hanno facilitato la mia partenza a 12 anni per Losanna”.

Tra i 17 e 18 anni, pur continuando con gli studi letterari, latino e greco, don Claude sogna di diventare ingegnere fisico . “Andavo bene in matematica, pur studiando poco questa materia. Pensavo di fare dopo la maturità classica un anno di approfondimento in matematica all’università di Losanna, poi uno stage di 2-3 mesi in Germania. Immaginavo anche di iscrivermi ai corsi di Fisica del Politecnico di Zurigo, dove la maggior parte delle lezioni era in tedesco. Dopo la laurea, pensavo di perfezionarmi negli Stati Uniti.  La prima parte dei miei sogni riesco a realizzarla. Mi iscrivo al Politecnico, ma tra i 19 e i 20 anni tornano i dubbi sulla vocazione sacerdotale. A 20 anni scegliere di fare il sacerdote significava cancellare tutti i miei progetti, rinunciare al matrimonio, perdere la mia libertà. Così chiedo consigli ad un prete di mia fiducia, che mi spinge ad entrare in seminario. Resisto per sei mesi, sperando di sentirmi dire: Ci dispiace, ma non può diventare sacerdote. Non ha una vocazione forte. Nessuno me lo dice. Non avevo neanche ragioni sufficienti per andarmene. Così dopo un anno prendo i primi voti (promesse) per tre anni nella Comunità dei preti del Gran San Bernardo. Alcuni mesi dopo l’ordinazione sacerdotale, mi mandano in Italia, ad Aosta, dove la Congregazione del Gran San Bernardo gestiva per conto della Regione Valle d’Aosta una Scuola Pratica di Agricoltura. L’anno dopo, era il 1967, i superiori mi chiedono di iscrivermi alla facoltà di Agraria dell’Università Cattolica di Piacenza. Mi laureo nel ’72”.

Dopo la laurea, don Claude lavora come insegnante e per alcune estati come tecnico di vigna.

“I problemi degli agricoltori mi spingono a sperimentare”.

Nel 1982 con la Regione Valle d’Aosta e la Congregazione del Gran San Bernardo fonda l’Istituto Agricolo Regionale (IAR), che ha come obiettivo la formazione agricola degli studenti, abbinata alla sperimentazione sul terreno. Si dedica alla lotta integrata nella viticoltura e nella frutticoltura per ridurre l’uso di prodotti chimici.

Grazie alla laurea in Agronomia e al suo impegno, da alcuni anni i vini valdostani riescono a competere con quelli griffati piemontesi.

Dal 2003 al 2017 don Claude è in Africa, in Sénégal, dove durante le vacanze segue un piccolo progetto di sviluppo. “Una esperienza molto bella, talvolta difficile, che mi ha permesso di integrare azione pastorale e iniziative destinate a favorire la sviluppo economico e umano. Dopo studi fatti in più di 40 villaggi, mi sono orientato prima sulla creazione di un microcredito, poi sugli orti comunitari, assicurando assistenza tramite tecnici, formati nei centri agricoli della Caritas. Sono stato soprattutto nella diocesi di Kaolack, una città con 300 mila abitanti (la diocesi supera i due milioni), dove solo l’uno percento della popolazione è cristiano”.

Nel 2017 don Claude torna nella diocesi di Aosta. E la sua vita è piuttosto movimentata.

La sua sveglia squilla ogni giorno alle 5:50. Va a letto alle 23, si riposa solo per una mezzoretta il pomeriggio e la sua giornata è scandita da due messe, una la mattina, l’altra la sera – tre il sabato – dalla cura dei suoi fedeli (circa un migliaio), delle tre parrocchie, che diventano quattro in estate, oltreché dalla preghiera.

“Prego in italiano, inglese, francese, tedesco e wolof un dialetto senegalese- a seconda delle intenzioni. Ne ho tante, per il villaggio in Africa, il Medio Oriente, il nostro Paese, affinché superi questa fase critica”.

L’estate scorsa, l’ultima sua grande impresa: un pellegrinaggio per vivere in solitudine e povertà. E’ partito il 18 agosto dal Gran San Bernardo ed è arrivato il 28 settembre al Vaticano.

“Volevo ricevere gli auguri per il mio compleanno il 30 settembre da Papa Bergoglio. E ho realizzato il mio sogno. Mi sono organizzato per incontrare il Santo Padre in occasione della udienza generale del mercoledì 30 settembre. Ero nella prima fila grazie all’appoggio del vescovo di Aosta. Per 42 giorni ho camminato solo, ma non ho temuto i momenti di solitudine. Quando si è soli si è più disposti ad incontrare persone. Nel percorso ho fatto amicizia con ragazzi lombardi, che sento ancora oggi, e ho avuto tante sorprese. Sono stato accolto gratuitamente in un albergo a 4 stelle, per merito dell’intervento del parroco di Garlasco,  dopo aver trovato chiusi più ostelli.  E dopo una tempesta vera, un miracolo. Quel giorno ho camminato per sette chilometri sotto una pioggia battente in aperta campagna. Non avevo neanche la mantellina. Arrivato a Santa Cristina, dove l’ostello era chiuso, due uomini abbastanza anziani e molto gentili, mi hanno portato in macchina per diciotto chilometri. Lì c’era la tappa successiva. Non ho perso le staffe, perché quando sono partito sapevo che nel mio cammino avrei avuto imprevisti. Avevo, però, il cellulare bagnato. Per fortuna ho incontrato un amico dell’Università che mi ha aiutato a ripararlo. Sullo smartphone c’erano la tappa da percorrere, con i nomi dei motel, degli ostelli in cui dormire, e le mie preghiere. Ho avuto tanta paura. E’ stato il momento peggiore, ma poi Dio mi ha aiutato. Per il resto, benedico quel viaggio per cui mi sono preparato solo nei due mesi precedenti, camminando tra le 6 e le 8 ore ogni giorno”.

Nel percorso don Claude ha mangiato solo di sera, durante il giorno, con il caldo “mi bastavano acqua e coca cola. E ce l’ho fatta!”

Del resto, le sfangate, quelle vere, da paura, don Claude le ha affrontate da ragazzo, quando spesso si è trovato a fare salvataggio sotto tempeste di neve. “Ho nella testa l’immagine di un giorno particolare: una bufera e un freddo intenso. Eravamo sotto i venti gradi. La montagna, che non ho mai abbandonato, evidentemente mi ha rafforzato”.

Don Claude è partito con uno zainetto di nove chilogrammi, il cellulare, la Bibbia, e poca roba intima. “Riuscivo a fare il bucato, cioè, a lavare calzini e roba intima ogni giorno e a celebrare messa. In alcuni momenti mi sono anche divertito, scoprendo qualità che non pensavo di avere”.

Un nuovo viaggio? “Chissà. Mi piacerebbe, anche se alla mia età…”. Perché dice che il viaggio è stato benedetto? “Mi sono sentito più povero e quindi privilegiato, perché più vicino a Dio, quel Dio a cui non sempre mi rivolgo con dolcezza, ma che sono riuscito a conoscere meglio negli ultimi anni. Forse, merito di quel San Paolo, che ho potuto conoscere meglio nel corso di uno stage di quattro mesi nel 2010 a Gerusalemme e che più di tutti ha avuto la profondità di penetrare il Suo mistero, comprendendo che Egli è pensiero, solitudine, ma anche opera. Ecco, quando mi sono trovato sotto la pioggia in aperta campagna, durante il pellegrinaggio, quello che mi tormentava era non poter leggere le sue epistole. Prima di un nuovo viaggio, vorrei, comunque, tornare a sciare, che per me è libertà, solitudine e mistero. Declinazione di eternità”.   

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  1. Don Claude, uomo dotato di ricca spiritualità che con i suoi pellegrinaggi per il mondo porta tanta solidarietà ai bisognosi partecipando a tanti progetti utili per la collettività. Una bella testimonianza di fede. Complimenti!

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