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Aziende di famiglia: Cosa fare per diventare Il Futuro erede? Parla Emanuele Sacerdote, consulente

Continuità nelle piccole e medie aziende italiane: come garantirla? Come scegliere l’erede ideale e cosa significa traghettare un’azienda storica verso il futuro?

A queste domande prova a rispondere Emanuele Sacerdote (55 anni, torinese), imprenditore, docente alla Business School dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, della Fondazione Istud e dell’Univeristà Iulm, nel suo ultimo libro, intitolato: Il futuro erede (Ilsole24ore), che è il risultato di una carriera trascorsa prima nelle agenzie di pubblicità, poi nelle aziende, soprattutto in quelle a proprietà familiare.

Lavorare con Levi Strauss&co, Ermenegildo Zegna, Ferrari auto, Barbisio, ed occuparsi, almeno nell’ultimo decennio dell’ azienda della sua Strega Alberti Benevento, lo ha portato a capire che passaggio generazionale non è semplicemente il trasferimento di testimone, ma la frontiera di salvezza, la copertura assicurativa, l’innovazione genetica, il ricambio congenito e organico, il processo di scambio, l’equilibrio tra similitudini e differenze, capaci di fortificare l’azienda dell’essere e preparare quella del divenire.

E’ un processo complesso, lungo, che va preparato negli anni e che molti pensano di liquidare con una semplice spartizione di potere e tanta improvvisazione.

 “Il passaggio generazionale e la successione – scrive Sacerdote – sono due momenti distinti e interconnessi che impongono una programmazione per non incorrere nella casualità del pericolo di assenza di governo e che dovrebbero ispirarsi allo spirito atletico del passaggio del testimone in una gara a staffetta. Per garantire la continuità dell’impresa di famiglia bisogna creare una cultura della successione tra le generazioni. Senza questo meccanismo programmato potrebbero essere pregiudicate le continuità e la stabilità della proprietà”.

Poiché niente deve essere lasciato al caso, è necessario affrontare in tempi utili il tema della morte. “Dato che la morte è l’unica certezza della nostra vita, e che la disorganizzazione di una successione non pianificata potrebbe causare impatti inesorabili, ritengo che si dovrebbe approcciare il problema prevedendo piuttosto che curando”.

Non si può accettare che un’azienda vada allo sbando per la morte imprevista, prematura di chi la guida. Dunque, la morte non deve essere più un tabù.

Ma cerchiamo di capirne di più con Emanuele, che ha fondato Soulside, boutique della consulenza aziendale.

Come mai ti sei appassionato al tema del family business e dei passaggi generazionali? Se ne parla poco in Italia?

Sono nato in un contesto imprenditoriale familiare. Ho lavorato in tante aziende familiari come manager e nella mia azienda di famiglia (Strega Alberti Benevento ndr) come socio di minoranza e consigliere d’amministrazione. Il passaggio generazionale, oltre ad averlo vissuto in presa diretta in alcune situazioni, è lo snodo su cui si fonda l’essenza dell’impresa della famiglia. Senza continuità intra- generazionale si interrompe il modello d’impresa. Ufficialmente forse se ne parla poco, ma è un tema che prima o dopo tutte le aziende familiari dovranno affrontare. La mia idea è meglio prima che dopo. Quello che ho imparato è che il passaggio generazionale è una questione di fiducia, consenso e consapevolezza tra persone che sono al servizio dell’azienda. Parte da lontano. Molto prima dei patti di famiglia, dei trust e degli accordi legali e fiscali.

Aziende di famiglia: l’ossatura del nostro sistema economico. Ma quanto il nostro Paese avvantaggia o meno queste realtà rispetto ad altri Paesi?

Mi sembra di ricordare che il family business valga circa un terzo del PIL e che il 65% delle aziende (superiori a 20milioni di euro) sia di natura familiare. Pertanto, sono l’ossatura portante del nostro sistema economico e industriale composto da aziende grandi, multinazionali tascabili, filiere, distretti, consorzi, cooperative. Rispetto al family business tedesco, americano o giapponese, quello italiano è rappresentato da un’alta frammentazione delle aziende e una forte presenza di aziende medio-piccole: molte di queste imprese, specialmente quelle piccole e medie sono difficilmente cedibili e incorporabili. Per competere meglio a livello internazionale la dimensione conta, esattamente come contano la buona managerializzazione e la capacità di attrarre finanza esterna. Questi aspetti sono poco applicati e compresi da molte aziende familiari che ne beneficerebbero e ne trarrebbero forti opportunità di performare meglio e competere su più mercati.

Veniamo al tuo libro. Sembra che il passaggio generazionale – che distingui dalla successione – richieda una approfondita analisi di quella che è l’azienda, del suo patrimonio, ma soprattutto degli aspetti personali dei singoli componenti della famiglia. E che quindi spesso oltre al notaio, servirebbe uno psicologo per sbrogliare nodi fatti di invidie e gelosie. Quanto gli imprenditori in Italia per la staffetta generazionale si affidano a queste due figure? E quanta improvvisazione c’è, che alla fine porta alla chiusura di tante realtà? 

Domanda molto complicata. Partiamo dalla fine. Quando sei davanti al notaio vuol dire che sei alla fine di un processo e il dado sarà tratto. Per mia conoscenza, poche imprese utilizzano lo psicologo per comprendere le dimensioni più inconsce dei problemi. Per mia esperienza, bisognerebbe iniziare a parlarsi per capire i punti di vista e le distanze. Inoltre, occorrerebbe mettere sul tavolo il rischio di compromettere il futuro dell’impresa. Capire le intenzioni, le volontà, i desideri e le possibilità, dovrebbe essere il punto di partenza. Uno psicologo potrebbe essere utile  -per entrambi le parti-, ma quello che serve è un mediatore capace di far comunicare le parti e farle convergere su direzioni comuni e su un processo condiviso. Infine, un bravo avvocato e notaio sono importanti. La realtà ci insegna che la consapevolezza è il bene più prezioso e le derive personali, i pregiudizi cognitivi e la vanità possono frantumare gli obiettivi, il contesto e la situazione.

Scrivi che per traghettare l’azienda verso il futuro occorre un’azione di spossesso responsabile, l’élisir di lunga vita dell’azienda.  Ci spieghi cosa intendi?

L’élisir di lunga vita è una formula difficile da consolidare, ma può partire solo da una solida intenzione di continuare l’avventura di famiglia tra la generazione in capo e quella successiva, oppure con una nuova proprietà capace di valorizzare la longevità del patrimonio industriale (Gucci ndr). Per le aziende familiari la mia idea è che solo spossessandosi della proprietà personale, si possano creare le condizioni per la continuità.  Ci vogliono una governance lungimirante, una crescita costante e soddisfacenti performance.

Gli errori più comuni dei nostri imprenditori di famiglia in carica? 

Molto difficile giudicare gli errori altrui. Peccando di moderatissima presunzione e senza alcun universalismo, forse sottovalutano il fattore tempo che passa e muta inesorabilmente. Forse pensano di essere più longevi – eterni – e che ci sarà sempre tempo per procrastinare certe decisioni.

Dici che tocca all’imprenditore in carica individuare nel corso degli anni il futuro erede, il quale va preparato non solo in azienda, ma anche nei pranzi della domenica, nelle vacanze, nei viaggi. E’ una questione di “fiuto”, di intuito. Ma quante volte capita di scegliere la persona sbagliata? E se gli eredi futuri ideali sono due? 

L’erede in carica dovrebbe identificare il prossimo erede in funzione delle sfide future e del migliore rappresentante del codice genetico di famiglia. La preparazione del passaggio generazionale, infatti, inizia la domenica a pranzo e a Natale, dove la famiglia e le nuove generazioni stanno insieme e imparano a conoscersi e a capire le differenze e le somiglianze. Iniziando in anticipo si ha più tempo per valutare le esigenze, le necessità, le forze e le debolezze. Di conseguenza, l’erede o gli eredi dovrebbero essere preparati e formati per tempo e con cura. In caso di diversi eredi si devono prevedere le co-esistenze, possibilmente con saggezza e intelligenza, e la divisione delle deleghe e delle responsabilità.

Come far capire a chi è di troppo – parlo del padre padroni – che per il bene dell’azienda deve andare via?

Definendo delle regole di governance, tipo l’anzianità di carica nello statuto. Tutti i discorsi e i ragionamenti devono confluire nella stesura di regole e patti che puntino sulla continuità tramite una governance lungimirante, competente e responsabile di durare e crescere nel tempo. Il passaggio generazionale e le regole per garantirlo devono sottendere a dei principi e dei comportamenti mirati a far perdurare l’impresa. Se mancano questo spirito e questa consapevolezza sarà molto difficile costruire un processo di successione. Se poi aggiungiamo i possibili conflitti, invidie e gelosie tra generazioni, il quadro si complica in modo notevole. Ecco perché le regole di governance sono importanti.

Invece, chi è l’erede futuro ideale?

Deve essere cosciente del privilegio, responsabile dell’impegno e capace di portare un carico molto pesante. Ricordo spesso agli eredi futuri che dovranno fare quel lavoro per molto tempo, oltre quarant’anni, e dovranno possedere molto coraggio, tenacia, determinazione e volontà per gestire e poi per traghettare. Molte volte vedono solo il privilegio, alcune volte lo percepiscono come un super-potere. La realtà insegna che oltre al privilegio e agli indiscussi vantaggi, c’è un’enorme responsabilità. Si può solo affrontare questo percorso con maturità cognitiva, innata motivazione e spiccata intraprendenza.

Quanti sono i giovani in Italia che vogliono restare nelle aziende di famiglia?

Dal recente 2021 Guess  Global Report, curato da University of St. Gallen e Universitat Bern sembra che in Italia non ci sia tanto entusiasmo. Purtroppo i perché non sono presentati. In questo momento storico le start-up, l’innovazione tecnologica, la digitalizzazione, i social media, per un giovane sono forse più attraenti e seducenti che andare a lavorare per la polverosa azienda di famiglia localizzata nella remota provincia. Oppure, il motivo potrebbe essere la semplice consapevolezza che non potrà essere felice e soddisfatto lavorando in famiglia. All’erede futuro che vuole restare, comunque, consiglio sempre di fare esperienza all’estero e gavetta nella propria azienda. A chi non è interessato a proseguire, consiglierei di dichiaralo prima possibile così da liberare la posizione e dare all’azienda la possibilità di trovare un altro assetto. Forse farà il socio, oppure beneficerà della liquidazione. Invece, se decidesse di rimanere e impegnarsi, dovrà fare un percorso di formazione, educazione al potere e alla proprietà che parta dall’imparare a lavorare con gli altri e per gli altri, per poi saper comandare. Se non hai avuto dei buoni capi non sarai mai un buon capo. In questo percorso si dovrà innestare il passaggio di testimone e consegne tra le due generazioni. Sempre che tutto vada in quest’ordine: alcune volte succede che per svariati motivi, la generazione precedente viene a mancare e quella successiva è chiamata a salire in carica prima.

L’azienda che hai analizzato e che rappresenta la perfetta combinazione passato – futuro?  E pensi che per conservare la memoria, il passato possano bastare la creazione di un Museo o la scrittura di un libro?

I giovani devono essere sempre rispettosi del passato e di chi ha edificato il patrimonio industriale e reputazionale che loro potranno far evolvere e sviluppare. Raccontare la storia, la cultura e l’identità in un museo o in un libro è sempre buona cosa per cristallizzare la memoria e per proiettarla al futuro con innovazione e diversificazione. Il passato, però, è passato e bisogna andare avanti, cercando di trovare coerenza e pertinenza nel futuro. Mi sembra importante sottolineare un fatto che viene spesso sottovalutato. L’imprenditore-fondatore e l’imprenditore-erede avranno e svolgeranno compiti diversi anche se apparentemente sembreranno uguali. La differenza consiste nelle diverse condizioni di partenza e realizzazione della business idea: creare da zero versus continuare a creare . Quindi rigenerare.

Al di là dei numeri, quando si può parlare di un passaggio avvenuto con successo?

Oltre al numero delle persone assunte – al netto di quelle licenziate, ci sono tanti indici importanti: gli stipendi pagati, i figli dei dipendenti che sono andati all’università, gli ottimi risultati eco finanziari, la redistribuzione degli utili, la crescita del valore d’impresa, i progetti culturali e sociali promossi, i premi vinti, le certificazioni ottenute, i finanziamenti erogati per la cultura, le donazioni, le sovvenzioni, le partecipazioni societarie, i fallimenti scampati, le ispezioni della finanza andate a buon fine, i sudori freddi per i debiti restituiti, la felicità negli occhi dei dipendenti alla festa di Natale, le scelte positive, l’amore profuso, la garanzia di avere un buon erede che subentrerà.

Pensi che l’erede “individuato” debba godere subito del consenso della maggior parte dell’azienda? E per questo sarebbe meglio che ci fosse sempre un manager ad affiancarlo, un advisory board, un gruppo di esperti a consigliarlo? Sino a quando?

Il futuro erede, il futuro CEO, senza il consenso non potrà governare. Per supportarlo nella gestione operativa il manager esterno potrebbe essere una scelta. Molto dipende dal fatto che l’impresa sia già managerializzata o meno. Ritengo che sia sempre fondamentale avere un consiglio di amministrazione diversificato e preparato alle prossime sfide che l’azienda dovrà affrontare. In capo al consiglio di amministrazione si potrebbe pensare di avere un consiglio di famiglia.

Molte volte il declino di un’azienda viene attribuito alla cattiva scelta del futuro erede, ma come scrivi: “Non tutte le aziende sono destinate a crescere”.

Oggi più che mai dobbiamo convivere con una forte entropia, discontinuità e spirali tecnologiche che modificheranno sensibilmente l’arena competitiva e le modalità di fare impresa. Capire quando è iniziato il declino di un’impresa è sempre molto complicato. Di solito dipende sia dalla gestione sia dalle dinamiche di mercato. Se si capisce in anticipo si può ragionare in termini di decrescita e ristrutturazione.

Sintetizzando il segreto per una buona staffetta, oltre a quella di tenere distinti patrimonio e famiglia e cercare di capire la ragione di conflitti? 

Parlarsi, parlarsi, parlarsi e confrontarsi in merito a obiettivi e a progetti realizzabili e futuribili che garantiscano la continuità e la crescita.

                                                       Cinzia Ficco

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Written by Cinzia Ficco

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