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Emanuela Conversano: “Un brindisi a Marx, che mi ha fatto diventare imprenditrice. Col vino!”

Emanuela Conversano: esempio di come theoria, praxis e pòiesis riescano a convivere con equilibrio.

La tipa tosta, che sto per proporvi, è una filosofa, ma anche una imprenditrice. E il merito della sua svolta recente potrebbe essere stato di Karl Marx.

Curiosi di saperne di più? Cominciamo col dire che è nata a Monopoli, una cittadina nel Barese, nel 1986, e che dopo la Laurea e il dottorato in Filosofia alla Normale di Pisa, un master in “Filosofia del cibo e del vino” al San Raffaele di Milano, terminato a dicembre scorso, ha abbandonato la città e con un suo amico, ora anche socio, si è data all’agricoltura ed in particolare alla produzione di vino, aprendo 5e30 https://www.facebook.com/5e30vinidacoltivare/

Del barbuto pensatore di Treviri continua ad essere una studiosa appassionata. Su di lui in passato ha partecipato a convegni internazionali, presentando le sue ricerche, ma la vita lenta in campagna l’ha proprio presa. Il nettare degli dei, quasi irreparabilmente stordita.  

Quindi più filosofa o imprenditrice del vino? “Tutte le definizioni – ci dice – mi sembrano, da un lato, troppo altisonanti per la mia personalità e il mio stato attuale: della filosofia, così come dell’impresa, mi interessano l’analisi critica e trasformativa nei confronti del mondo, la capacità di comprendere il presente, ma da una prospettiva più generale, che guarda al futuro non in maniera utopistica, ma concreta. Se è merito di Marx? Beh, credo molto quando dice: “L’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. Parole tutt’altro che deterministiche, se lette in profondità – ma questa sarebbe un’altra storia. Tornando a noi, dall’altro lato, forse sono tutte definizioni – nell’uso comune – troppo circoscritte. Prendendo, invece in prestito un concetto di Nicola Perullo – lui sì, un vero filosofo che di queste questioni si occupa in maniera molto intelligente – parlerei, più che di filosofia del vino, di filosofia e imprenditoria – col vino.

Che differenza c’è?

Detta in questi termini, il rapporto col vino si riappropria della sua dimensione tanto sensibile quanto intellettuale: una relazione tra soggetto e oggetto in maniera dinamica, materiale e culturale insieme, nella quale cibo e vino, corpi e menti, assimilandosi reciprocamente, reciprocamente si trasformano.

E Marx su questo, dici, ti ha aperto la mente

Esatto. Il mio primo vero incontro con lui risale al mio secondo anno di università. Ero un’ingenua studentessa del sud alla Normale di Pisa. Qui, per essere ammessi all’anno successivo, bisogna scrivere una sorta di tesina su un argomento a scelta. Io studiavo filosofia e avevo voglia di conoscere i classici. Per via dei miei interessi rivolti alla filosofia pratica, pensai subito a Marx, autore controverso proprio perché il suo pensiero non è speculazione pura e – si sa – se ne è spesso fatto buono e cattivo uso in altri ambiti. Avrei imparato a mie spese quanto questa singolarità non fosse sempre vista di buon occhio nell’accademia. Ma per fortuna a seguirmi fu un professore di un’eleganza e un rispetto che ho raramente ritrovato negli anni successivi – Lorenzo Calabi – scomparso qualche anno fa. Mi ha seguito per tutti gli anni di università, accompagnando le mie ricerche su Marx e poi su altre questioni, fino a quando ho cominciato il dottorato a Bologna, scegliendo di tornare a Marx. È stato allora che ho scoperto il suo amore per il vino, che gli procurava il suo caro amico Engels, molto più benestante di Karl, che era davvero squattrinato, esule e con una moglie amatissima e molti figli da mantenere. Ci sono gustose lettere tra i due amici sul tema, recentemente raccolte in un volumetto edito da L’Orma Editore (https://www.lormaeditore.it/libro/9788899793487).

Cosa hai scoperto di interessante?

Grazie a un caro amico tedesco, incontrato ad un convegno a Berlino, quando già avevo la mia piccola vigna, ho scoperto che la famiglia di Marx aveva circa un ettaro di vigneto nella sua città natale, Treviri, nella regione vinicola della Mosella, da cui faceva circa 5mila  litri di vino l’anno. Anche se poi Marx cedette la sua quota alla madre. A qualche studioso piace pensare che da una crisi del settore vitivinicolo – che coinvolse la famiglia – Marx abbia tratto importanti spunti per concepire la sua teoria economica e politica. Da qualche parte in internet ho anche trovato un “Karl Marx Wein” celebrativo (https://shop.von-beulwitz.de/produkt/karl-marx-wein/), che purtroppo non ho avuto modo di assaggiare! Ad ogni modo, vero o no che sia, l’aneddoto sul legame tra la sua storia familiare e la sua teoria mi colpisce e non mi stupisce. Continuo a studiare Marx, in particolare le sue riflessioni sull’antropologia e la storia globale, anche dei popoli non capitalistici, perché in lui trovo sempre un legame, profondamente dialettico, tra pensiero e vita. Lo faccio nonostante, dopo il dottorato, abbia abbandonato la carriera accademica – un po’ per scelta, un po’ per caso, anche se tendo a pensare che il caso non esista.

Dicevi che su questi temi oggi stai preparando un libro.

Sì, e in un modo quasi magico, ma come un mosaico di cui piano piano ricostruisco i tasselli, gli argomenti della mia ricerca si legano piano piano alla nuova scommessa legata alla viticoltura. Penso che non smetterò mai davvero di studiare: è la mia educazione quotidiana, non ci si sente mai soli e ti sembra di non invecchiare mai – in modo molto diverso, mi pare che succeda lo stesso anche coltivando la terra.

Ci racconti come è andata all’inizio, visto che di vino non sapevi niente?

Dopo il dottorato, nel 2015, sono tornata in Puglia – sempre per quel perfetto mix di caso e necessità- e ho cominciato a pensare che per dare un senso al mio ritorno sarebbe stato bello occuparsi di un bene prezioso per la Puglia: la campagna. Ma era un pensiero che mi sfiorava nei ritagli di tempo, senza che mi impegnassi a realizzare alcun progetto. Nel 2018 ho iniziato un corso per sommelier perché ho sempre avuto parecchia curiosità per l’enogastronomia, fa proprio parte della mia educazione familiare. Per caso lo seguiva con me anche Giovanni, il mio socio, in un tour operator che si occupa di cicloturismo in Puglia (Puglia Cycle Tours: https://www.pugliacycletours.com). Un giorno, durante un giro in bicicletta con altri nostri colleghi, chiacchierando del più e del meno, Giovanni mi racconta che avrebbe voluto piantare una vigna e io, un po’ scherzando un po’ no, gli ho detto che avrei volentieri collaborato al progetto. Allora nessuno dei due, forse, pensava che sarebbe successo davvero, o perlomeno, così in fretta. E invece, di lì a qualche settimana, durante un trekking vicino a Gioia del Colle  (Bari) per un altro progetto, che si chiama Spaccamurgia https://www.facebook.com/spaccamurgia/) – Giovanni ha adocchiato un cartello Vendesi, con un numero di telefono, davanti a un delizioso piccolo vigneto-giardino di alberelli, che poi avremmo scoperto essere di primitivo e avere 60 anni. Io non ero lì, ma in una biblioteca a prepararmi a un convegno su Marx, appunto. Ricevuta la foto dell’annuncio via Whatsapp, ho solo fatto una telefonata e da lì è partito tutto. Abbiamo acquistato la vigna e fondato una società semplice agricola: 5 e 30 – Vini da coltivare.

Perché si chiama 5 e 30? 

Perché a quella telefonata ha risposto un adorabile signore di una generosità infinita, che è stato – ed è ancora – il nostro faro. Ci ha insegnato tutto quello che ora sappiamo su quel terreno, su quelle piante, che lui conosce come se fossero figlie sue, anche se sono solo di qualche anno più giovani di lui. Ogni mattina, nell’estate del 2018, quando tutto è cominciato, ci convocava in vigna «non più tardi delle 5 e 30» – del mattino naturalmente, per evitare il caldo delle estati pugliesi! Da qui il nome: ci sembrava un omaggio, un monito e un augurio per un’impresa per niente semplice, ma sempre sorprendente, proprio come le prime luci dell’alba.

Quanto è stato tosto realizzare questo progetto?

Da un lato è stato semplicissimo, prima di tutto per la disponibilità delle persone che abbiamo incontrato e che ci hanno aiutato in tutte le fasi, dalla terra alla cantina e alla commercializzazione, con una generosità a me sconosciuta. Io, che venivo da un ambiente parecchio competitivo come quello accademico, sono stata così piacevolmente colpita dalla capacità di condividere e cooperare che c’è in agricoltura. Mi rendo conto di quanto sia sbagliato l’uso che si fa dell’espressione coltivare il proprio orticello. Credo che anche Voltaire, facendo dire al suo Candide che bisogna coltivare il proprio giardino, volesse dire tutt’altro. Si tratta di una vera assunzione di responsabilità. E mai come oggi, in un momento in cui la questione ambientale è cruciale, sarebbe bello recuperare il vero significato di questo concetto al di là dei luoghi comuni. Per quanto ne so – ho ancora molte cose da capire. L’agricoltura è un settore parecchio bistrattato, bloccato da cavilli e ritardi al livello legislativo, rispetto ad un interesse sempre crescente anche da parte delle nuove generazioni. Anche per questo motivo è ancora difficile superare certi limiti del nostro progetto.

Cioè?

Ottenere i diritti d’impianto, metter su una cantina, per esempio. Ma stiamo lavorando a tanti progetti interessanti, legati all’agricoltura sociale in un senso molto ampio.  In fondo, come dicevo, l’agricoltura è sociale per definizione. Speriamo di poterne parlare presto.

Due vigne, due vendemmie, un rosato 2018 finito in ristoranti stellati di Treviso e Venezia e un rosso 2018 che sta per finire in bottiglia, un’annata 2019 che porta con sé il vostro primo bianco e poi di nuovo un rosato e un rosso.  Sembri molto soddisfatta.

Ad oggi abbiamo imbottigliato due vini: un rosato fatto dai racemi – o femminelle- la seconda infiorescenza  della seconda vendemmia del 2018, che abbiamo chiamato Tamarindo, un nome che daremo a tutti i vini-esperimento, i più bizzarri e liberi che faremo nei prossimi anni. Almeno, speriamo. Dalla vendemmia 2019 è nato, invece, Spaccamurgia, sempre rosato. Abbiamo partecipato anche a Evoluzione Naturale, una bellissima fiera di vini naturali, che si tiene ogni gennaio a Grottaglie. È stata un’esperienza molto formativa per noi alle prime armi, e poi davvero divertente! Abbiamo ancora un bianco e un rosso non imbottigliati. Ci auguriamo di confezionarli presto – emergenza permettendo. Ma il bello della viticoltura è proprio che ti insegna ad avere pazienza, non sei solo tu a dare il ritmo, a decidere i tempi: è una lezione preziosa per me, visto che la ricerca mi ha abituata alla totale autonomia nella gestione del tempo.

E la cantina?

Come dicevo, non abbiamo ancora una cantina. Ci avvaliamo dell’aiuto di piccole cantine di Gioia del Colle, che ci permettono di fare le nostre scelte, ci indirizzano e consigliano in base alla loro esperienza. Prima accennavo alla generosità del mondo agricolo: mi riferivo anche a questo.

Attualmente a chi vendi e attraverso quali canali?

Intanto, produciamo poche bottiglie. La vigna è piccola e con un po’ di anni alle spalle. Dunque, le rese sono basse, ma questo dovrebbe andare a beneficio della qualità. Non abbiamo per questo dei distributori, ma con il sempre efficace passaparola e piacevoli giri tra ristoratori amici, prima di questo strano periodo, stavamo cominciando a distribuire lo Spaccamurgia, e le ultime bottiglie di Tamarindo stavano partendo per la Francia. Speriamo che tutto riparta presto, nel migliore dei modi e, soprattutto, in sicurezza. Visto il basso quantitativo, abbiamo scelto di vendere poche bottiglie a ogni acquirente, invece che a un soggetto unico, perché ci piace che i nostri vini vadano un po’ in giro a farsi conoscere, a fare amicizia. Chiunque voglia provarli, può contattarci, abbiamo una pagina Facebook.

Com’è il vino prodotto da una filosofa?

Nella nostra vigna non sono mai stati utilizzati mezzi chimici di sintesi. Condividendo questa scelta, ora abbiamo anche avviato la procedura per ottenere la certificazione biologica. Cosa ha di particolare? Ci piacerebbe che a dirlo fosse chi lo beve, innanzitutto, perché crediamo che il vino – che racconta una terra, un’annata, un’uva e chi la lavora – sia difficile da definire una volta per tutte e tutti, ma proprio per questo offra infinite possibilità di espressione. Restando sul filosofico, abbiamo in mente molti contenuti che non siano un semplice accompagnamento al vino, ma parlino la lingua del vino stesso. Si sa, il vino è un prodotto culturale e naturale insieme e la filosofia insegna che natura e cultura non sussistono l’una senza l’altra, ma hanno un senso solo in quanto relazione che si autoalimenta.

Cosa potrebbe diventare 5.30 per il territorio?

Se penso a come mi piacerebbe che diventasse la società in futuro, la parola che mi viene in mente è festa, per la Puglia e tutti quelli che si affacceranno a vedere cosa facciamo. Solo bevendo un calice dei vini 5e30, o magari addirittura venendoci a trovare. Senza ignorare affatto la fatica della viticoltura, mi piacerebbe che fosse una festa per le vigne che stavano per morire e che vorremmo recuperare, ma che lo fosse anche per chi lavorerà – con dignità – nella cantina che desidero metter su, dove dare nuova vita a quelle uve, sperimentare vini sempre nuovi, ma nel rispetto dei palati, delle persone e dell’ambiente. È un progetto lungo e impegnativo, ma cerchiamo di aggiungere un tassello ogni anno. Per l’anno prossimo vorremmo imbottigliare altri tipi di vini oltre al rosato. Siamo in contatto con altri viticoltori interessanti, di cui rispettiamo la conduzione della vigna, per ampliare la produzione. Ti terrò aggiornata, se vorrai! Stiamo studiando come ottenere dei finanziamenti e lavorando a qualche progetto. La questione degli investimenti in agricoltura è un po’ complicata, soprattutto per le società piccole e i giovani imprenditori. Ma stiamo cercando di valorizzare anche gli aspetti più culturali del progetto, per fare degli investimenti più ampi nelle direzioni di cui ti parlavo. In fondo, il legame tra cultura e agricoltura è nella lingua!

Chi vorresti che assaggiasse il tuo vino?

Quando ho iniziato, il mio primo desiderio era di farlo assaggiare alla mia famiglia e agli amici. In fondo le cose non sono cambiate molto, e più vado avanti e più penso al vino come a un tessitore di legami. Quello che intendo è che mi piacerebbe che chi assaggia il vino instaurasse con lui un rapporto affettivo, che lo associasse a esperienze, ricordi. Vorrei – in parte sta già succedendo – che fosse il vino stesso a crearle, quelle esperienze, e dunque, quella rete di affetti. Mi sembra che, a lungo andare, tutto questo abbia più valore di classifiche e punteggi.

Ti senti tosta?

Non saprei proprio. Cerco, però, di impegnarmi nelle cose che faccio, perché solo così ci provo più gusto, mi diverto di più e mi sento più viva. In ogni caso grazie a Marx, che lo ha permesso. Un brindisi a lui!

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Written by Cinzia Ficco

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