Uccidere la morte si può, nonostante le ceneri. Siamo fatti per ricominciare. Anche quando le macerie ci sovrastano. Soprattutto quando ci sovrastano. Ma a cosa aggrapparci? C’è un personaggio che può ispirarci e davvero si può pensare che, superata la pandemia, ci si potrà di nuovo ubriacare di vita?
Ne ho parlato con il saggista Davide D’Alessandro (Casalbordino, CH, ’66), studioso di filosofia e psicoanalisi, che alcuni giorni fa ha scritto una bella recensione al libro della sua collega francese, Anne Dufourmantelle, intitolato Elogio del rischio, uscito nel 2011, ma ripubblicato di recente in italiano (la traduzione è di Mario Porro) da Vita e Pensiero, in cui l’invito è restare aperti alla vita.
La pensatrice, scomparsa alcuni anni fa, scriveva: “Rischiare la propria vita significa in primo luogo non morire. Morire stando in vita, in tutte le forme della rinuncia, della depressione bianca, del sacrificio. Rischiare la propria vita, nei momenti decisivi della nostra esistenza, è un atto che ci precede a partire da un sapere ancora ignoto da noi, come una profezia intima: il momento di una conversione».
Facendo sue queste parole, D’alessandro, che ha insegnato Ermeneutica filosofica all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, prova in questa intervista a traghettarci in una nuova prospettiva. E lo fa, facendosi aiutare da Woody Allen e Edipo, Dante, Mughini e Natoli, per citarne alcuni. Subito chiarisce: “Rischiare non vuol dire non indossare, stupidamente, la mascherina o assembrarsi, altrettanto stupidamente, durante una pandemia epocale. Rischiare vuol dire, anche in piena pandemia epocale, restare aperti alla vita, ai suoi colori, ai suoi sapori, mentre tutto ci parla di morte, mentre impera la morte”.
Mentre penso alle domande da fargli, arriva la notizia di un papà che fa nascere un bimbo in casa in dodici minuti attraverso una videochiamata.
Davide, forse, oltre alla nostra natura, programmata per riprovare, abbiamo altri supporti per iniziare a guardare oltre la siepe: la tanto odiata tecnologia. Ma è sufficiente?
Sono contento che il bimbo sia nato con l’ausilio della videochiamata. Non mi meraviglia affatto. Alla vigilia di Natale, con la videochiamata di un idraulico, sono riuscito a sistemare un tubo del lavandino che perdeva acqua, ma per il parto continuo a preferirlo senza …telefonino. Non ho alcun odio verso la tecnologia e non guardo al mondo dallo specchietto retrovisore. Ho studiato Heidegger e Severino. So dell’onnipotenza della tecnica, che va distinta dalla tecnologia. Tentiamo di non farci schiacciare, di servircene senza diventare servi, ma siamo destinati a soccombere. Un altro filosofo, gran profeta, diceva che siamo umani, troppo umani.
Torniamo all’articolo sull’elogio del rischio. Davvero sente che possiamo tenere a bada la morte, nel senso descritto dalla sua collega?
Ho scritto quell’articolo qualche giorno prima della morte di mio padre. Una tragedia della solitudine in una Rsa. Aveva soltanto una malattia pregressa, i 96 anni. Non ha mai rischiato contro la salute, è sempre stato molto attento, ma non si è mai negato alla vita per timore. È morto da vivo, non da morto. Ecco, rischiare la propria vita vuol dire incontrare la morte – che tutti incontreremo prima o poi – da vivi e non da morti. Il libro di Anne Dufourmantelle lo mostra in ogni pagina. Lei stessa è morta, tre anni fa, cercando disperatamente di salvare due bambini dall’annegamento. Ha incontrato la morte per salvare due vite, andando incontro alla vita.
Sulle orme di Woody Allen, quali sarebbero non dico le dieci, ma almeno le tre cose per cui vale la pena tentare di “restare innamorati della vita”, e non solo per avere più possibilità di diventare “immortali”?
Adoro Woody Allen. Nel film “Un’altra donna” dice che la cosa più bella dei cinquant’anni è che non li rifai… Nessun anno rifai e ogni anno ti allontana dalla vita e ti avvicina alla morte che, secondo Severino, è tutto tranne che fine. Lui è scomparso, nel senso che non appare più alla nostra vista, il 19 gennaio scorso, prima di questa tragedia epocale. Allen al primo posto delle tre cose metterebbe: suonare il clarinetto, poi fare film, e passeggiare per Venezia. Io, che Allen non sono, metto al primo posto l’amore delle persone che mi sono care, poi iniziare e chiudere la giornata aprendo un libro, infine iniziare e chiudere la giornata scrivendo articoli o libri. Oggi ho iniziato rispondendo alle sue domande.
Ha trovato un senso alla pandemia?
Alla pandemia non darei alcun senso, ma ogni senso. Ha ricondotto la morte, questa sconosciuta, che avevamo esorcizzato, negato, scacciato, dentro di noi. Pensiero fisso, non pensiero stupendo. Ma è l’unico pensiero che può tenerci in vita, farci amare la vita e, per dirla con Giampiero Mughini, farci smettere una volta per tutte di perdere tempo.
Proviamo a stilare una specie di calendario: dodici parole, una per ogni mese, per motivarci e provare a ripartire. Magari seguendo un ordine di priorità.
Gennaio. Stile. Se Georges Louis Buffon ha detto che lo stile è l’uomo, penso allo stile umano e giornalistico di Mattia Feltri, Direttore di Huffington post. Ne sono ammirato. Con lui ho chiuso l’anno vecchio e aperto il nuovo. Con lui inizio la settimana, inviandogli l’articolo e sperando che l’apprezzi. Febbraio. Coraggio. Se è vero che chi non l’ha, non se lo può dare, è vero che chi l’ha potrebbe non averne mai abbastanza. Marzo. Perseveranza. Sono grato a Salvatore Natoli, poiché a questa parola ha dedicato un libro, edito dal Mulino, da consigliare a tutti. Aprile. Dizionario. E aggiungerei sentimentale, come il nuovo libro di Giampiero Mughini che, proprio ad Aprile, ci regalerà i suoi ottant’anni di fulgida intelligenza. Nel dizionario, penso all’ultima edizione di quello curato da Umberto Galimberti, ci sono tante parole, belle, brutte, angoscianti, pericolose, nessuna inutile. Chi scrive si nutre di parole, ma tra tante parole ve ne sono alcune che, più di tutte le altre, ci legano alla vita, ci fanno sentire il respiro della vita. Maggio. Filosofia&Psicoanalisi. Due parole in una. Non solo perché è il titolo di un mio libro, ma soprattutto perché sono due discipline, la seconda derivante dalla prima, che possono aiutare a guardare la vita, il mondo, gli altri e sé stessi, con un occhio diverso, con un animo più aperto. Giugno. Padre. Si parla, si ciancia e si scrive da tempo dell’evaporazione del padre. È un fenomeno che risale, simbolicamente, all’uccisione di Dio, al taglio delle teste dei re. Ho qualche dubbio.
Cioè?
Non c’è più il padre che ti ordina di rientrare la sera alle venti, il patriarca, ma chi ha avuto un padre e chi è padre sa che un padre, non un diamante, è per sempre. Chi lo sostituisce è un dannato. Lacan ha detto cose decisive in proposito. Continuo. Luglio. Ombra. L’ombra non ci ripara soltanto dal sole… L’unico scopo dell’esistenza, ha scritto Jung, è accendere una luce nell’oscurità del mero essere, ma senza ombra non può esserci luce. Se non comprendiamo e accettiamo l’ombra, non ci è dato di accendere quella luce. Agosto. Sogno. Il mondo ha termine quando non si sogna più. Il sogno non è soltanto la via regia per accedere all’inconscio, è anche il motore della nostra esistenza. Settembre. Commedia. Quella Divina, scritta da Dante che proprio a settembre ci avrà lasciati da settecento anni. Ma ci ha davvero lasciati? Perdersi nella Commedia vuol dire ritrovarsi dopo un lungo viaggio interiore. Ecco il libro dei libri, il libro più bello della letteratura mondiale. Parola di Borges. Ottobre. Cuore. Eugenio Borgna, che mi onora della sua calda amicizia, ha appena pubblicato un libro dal titolo: “I grandi pensieri vengono dal cuore”. Lo sentiamo battere, ma non basta. Lo dobbiamo ascoltare e seguire. Una mente senza cuore produce Auschwitz. Un cuore senza mente può produrre, se va male, ingenuità. Meglio l’ingenuità. Va’ dove ti porta il cuore. Novembre. Morte. È il mese in cui si ricordano i defunti, ma è anche il mese in cui sono nato. La sera della mia nascita, Emil Cioran, autore che nel cor mi sta, andò a teatro. Quando lo lessi, nei suoi Quaderni, provai orgoglio. Dicembre. Vita. La vita che Elias Canetti, tra i più grandi autori del Novecento, ha sempre contrapposto alla morte. La vita di un bambino che a Natale si rinnova, per chi credee per chi no. La vita da scegliere sempre. La vita da rischiare. La vita da vivere. Perché la vita è bella nonostante, recita un grazioso libretto di Vittorio Buttafava. Perché, dopo il buio esistenziale, c’è la luce, ci sono le stelle. E quindi uscimmo a riveder le stelle.
Il Presidente della Repubblica nel discorso di fine d’anno ha rivolto un appello ai costruttori, un invito alla responsabilità. È la parola giusta per ripartire o contraddice quel rischio che lei e l’autrice del libro elogiate? E come interpreta questo invito?
Il Presidente ha parlato come deve parlare un vero Presidente. Senza costruttori è impossibile partire e ri- partire. Non è in contraddizione con il libro citato, anzi. Oggi bisogna assumersi il rischio della costruzione, il coraggio dell’intraprendenza. È rivolto a tutti gli uomini di buona volontà. Anche a chi trova la forza, in una situazione così tragica, di disquisire su improbabili nuovi assetti di governo. Lei vuole farmi immaginare un tipo di governo?
Beh, sì
Occorre il governo di sé, prima di poter governare gli altri.
Per restare attaccati alla vita dobbiamo liberarci dei fardelli. Non l’abbiamo potuto fare né a Natale, che è un momento di magia, sogno, né la notte di San Silvestro, perché abbiamo dovuto sacrificare la nostra hybris. Continuiamo a galleggiare nella pandemia. Che conseguenze avrà questo sulla psiche dei più giovani e degli anziani? Si ridurranno le nostre aspettative di vita, i nostri desideri, la nostra curiosità? Ci saranno ripercussioni sulla nostra sessualità? O al contrario, le malattie, le crisi economiche, gli attacchi terroristici ci sono sempre stati e il Covid sarà l’ennesima prova della nostra capacità di cambiamento o adattamento?
Le conseguenze le scopriremo vivendo. Nelle stanze d’analisi, mi dicono alcuni amici psicoanalisti, si cominciano a cogliere i primi segni. La pandemia è una prova, una grande prova. Qui si parrà la nostra nobilitate, direbbe Dante. Le ferite possono sanguinare in eterno, ma possono anche diventare feritoie, capacità di modificare la veduta e il quadro. Sta a noi lavorare sull’esperienza del dolore, per citare un altro magistrale libro di Natoli, sta a noi elaborare il lutto per uscirne più forti e, ciò che più conta, più vivi.
Pensa che dopo il Covid ci avvieremo verso una fase di ulteriore dematerializzazione della realtà, con un incremento della Didattica a distanza e dello smart working?
Il processo era iniziato prima, ma non vorrei trovarmi nelle prove generali di una eliminazione della scuola in presenza, di un abbattimento di tutte le costose strutture scolastiche, peraltro fatiscenti, e ritrovarmi con i giovani perennemente chiusi in una stanza, davanti al pc. Non il cielo in una stanza, ma una stanza senza cielo.
I negazionisti: mettiamoli sul lettino dell’analista. Cosa ne viene fuori? E soprattutto, come portarli alla realtà?
Non sono analista, ma la parola negazionista la lascerei alla descrizione di un tempo barbaro e buio che spero non torni più. Chi non crede ancora al virus è libero di farlo. Sarebbe opportuno tenersi l’idea nella propria testa, per rispetto di chi è morto per colpa del virus e anche di chi ne è guarito, patendo le pene dell’inferno.
C’è qualcosa di cui avere realmente paura oggi – che magari non si considera, passa in silenzio? E come combattere questa paura? Solo con la filosofia e la psicoanalisi?
La più grande delle paure è avere paura. La filosofia e la psicoanalisi non combattono alcunché. Anzi, sa cosa le dico? Perché combatterla? Mi hanno insegnato che se si vuole rafforzare una paura, si deve combatterla. Proviamo ad accettarla, guardarla in faccia, osservarla senza giudicarla, tenerla con noi, senza scappare. E vediamo l’effetto che fa. Magari leggendo qualche libro di Krishnamurti.
Un personaggio del mondo classico, della mitologia greca, a cui oggi dovremmo ispirarci per traghettarci verso il mondo nuovo? A proposito, sarà una partenza da zero o una ripartenza?
Siamo bombardati da Ulisse, Telemaco, Enea, Tiresia, Afrodite. Io mi tengo Edipo. Me lo tengo per amore di Freud, me lo tengo perché ogni volta che lo rileggo c’è sempre qualcosa da aggiungere, c’è sempre qualcosa di non detto che viene detto. Una continua scoperta. Partenza o ripartenza? È sempre una ripartenza. Siamo fatti per ricominciare. Anche quando le macerie ci sovrastano. Soprattutto quando ci sovrastano.
DAVIDE D’ALESSANDRO ha insegnato Ermeneutica filosofica all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Saggista e consulente filosofico, ha scritto numerosi libri. Tra le sue recenti pubblicazioni, con Morlacchi Editore: Intervista a Machiavelli. Tra cultura, filosofia e politica (con A. De Simone, 2017³), La vita del potere. Una storia filosofica e politica. Da Foucault a Sloterdijk (2017); Potere & Morte. Le matite di Canetti (2018); Fogli & Voci. Abecedario di storia, filosofia e politica. Tra Machiavelli e Severino (2019). I suoi ultimi libri sono Filosofia e Psicoanalisi. Le parole e i soggetti (Mimesis, 2020) e Il paziente e l’analista. Critica e diagnosi dell’umano: da Severino a Galimberti (Moretti&Vitali, 2020). Con Intervista a Machiavelli ha vinto il Premio letterario nazionale “Umberto Fraccacreta” 2018.
D’Alessandro ben stimolato dall’intervistatrice ci regala una serie di riflessioni che ci restituiscono il senso del nostro mestiere editoriale e del nostro percorso umano
Molto colpita. Al di là di citazioni colte, appropriate, mi ha lasciato un forte senso della vita..piu che mai importante in questo momento… Grazie a te, alle tue domande ben calibrate. Grazie a Davide Dalessandro di cui leggeró sicuramente altro, stimolata dalla profondità delle sue risposte.