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Stefano Cingolani: “Il capitalismo morto? Sarà la nostra salvezza, se diventerà green e digitale”

In molti, dal Diciannovesimo secolo ad oggi, hanno profetizzato la morte del capitalismo, “il vampiro che si nutre di lavoro vivo” di cui parlava Karl Marx, il sistema non intelligente né buono, né giusto, né bello e per di più bugiardo di cui scrisse John Maynard Keynes.

Già la grande recessione, seguita alla crisi dei subprime, è sembrata a molti osservatori segnare il fallimento del mercato e l’inizio dell’ultimo stadio del sistema capitalistico, destinato a declinare fino a scomparire del tutto, complici la crescente automazione del lavoro e la crisi della democrazia liberale.

E, invece? Il capitalismo è vivo e lotta assieme a noi.  

A dimostrarlo è Stefano Cingolani, giornalista e scrittore, specializzato in politica estera ed economia che, nell’ultimo libro (con la prefazione di Giuseppe de Rita), intitolato: Il capitalismo buono – Perché il mercato ci salverà (Luiss University Press) ci dice che le previsioni fatte sino a questo momento non hanno tenuto conto di un dato. E, cioè, che il capitalismo è come Proteo, il personaggio della mitologia greca, capace di cambiare continuamente forma. E quindi di resistere.

Trascurando la sua grande resilienza, gli analisti non hanno compreso che l’ultima mutazione stava avvenendo  forse più rapidamente  di quello che riuscivamo a immaginare. E che il Covid19, al contrario, rappresenta la sua grande possibilità di riscatto.

Nel suo lavoro, quasi 160 pagine, l’autore, che collabora al Foglio e a Linkiesta, dimostra come il capitalismo potrà essere ancora una volta distruzione creatrice, motore di cambiamento e forza capace di affrontare con efficacia i bisogni e le priorità derivanti dal virus: salute, ambiente, riequilibrio delle risorse e fattori di produzione. Ma tutto questo potrà avvenire solo se cambierà, appunto, pelle, e ne assumerà una Dvr: digitale, verde e responsabile.

Cingolani, perché un libro sulla necessità di un capitalismo buono proprio ora? Vede avanzare tendenze stataliste in Italia o il suo lavoro è un invito ad approfittare dell’arrivo di risorse ingenti dall’Ue da destinarle solo a determinati settori, quali, appunto, il verde e il digitale?

Sono partito da una critica, anzi, da un’autocritica, quella che chiamo nel libro l’autodafé della turbofinanza. Mi ha colpito molto il messaggio che Larry Fink, il gran capo di BlackRock, ha mandato ai suoi investitori all’inizio di quest’anno: si cambia! Il più grande investitore al mondo finanzierà imprese responsabili, ecologiche, innovative. Se lo dice lui, che muove milioni di miliardi, bisogna credere che qualcosa di nuovo si muove nel profondo del sistema. Il capitalismo cambia ancora. Del resto il capitalismo è l’unico sistema economico-sociale, la cui essenza è il continuo cambiamento. Con lo scoppio della pandemia mi sono fermato e mi sono chiesto se l’enorme crisi provocata dal corona virus avrebbe rimesso tutto in discussione. Poi ho osservato l’universo digitale, l’industria energetica, la farmaceutica, la distribuzione, l’agricoltura e ho capito che la crisi sarebbe stata un formidabile acceleratore dei processi già avviati e avrebbe favorito la diffusione di quello che chiamo il capitalismo DVR Digitale, Verde, Responsabile. Ma nulla è ineluttabile, sta a noi scegliere. I semi del cambiamento ci sono, bisogna coltivarli. E attenzione, i processi nascenti possono sempre essere soffocati nella culla.

Che ruolo possiamo dare allo Stato in questo momento?

La crisi genera una richiesta di protezione attraverso una espansione del ruolo dello Stato. E’ inevitabile e credo che lo Stato debba gettare ciambelle di salvataggio ai cittadini. Ma le innovazioni che ci porteranno fuori dalla crisi verso un nuovo e diverso ciclo di sviluppo nascono non dallo Stato, ma dalla società civile, dal basso, dai rapporti di produzione. Credo che un cambiamento formidabile deriverà dal lavoro – si pensi allo smart working e al nuovo rapporto tra tempo di vita e di lavoro- Del resto, ogni rivoluzione economica ha al centro il lavoro. Voglio ricordare una cosa.

Prego

Adam Smith ha dedicato oltre la metà del suo libro più famoso, sulla ricchezza delle nazioni, alle funzioni dello Stato che sono via via aumentate nel mondo moderno in particolare nel secondo dopoguerra. Molto può e deve fare la mano pubblica non solo per ammortizzare gli effetti della “mano invisibile”, ma anche come incubatore della crescita e sostegno dell’innovazione. Non spetta a lui, però, gestire le imprese. Se lo facesse, seguendo le regole dell’economia e del mercato, non riuscirebbe a realizzare la più efficace combinazione delle risorse. E’ inevitabile perché la sua risorsa fondamentale è la politica, quindi il consenso dei cittadini. Anche per questo le sfere debbono restare distinte e quanto più lo sono in modo chiaro tanto più grande saranno la trasparenza e il controllo sia sull’operato dello Stato sia su quello delle imprese.

Dunque, alla faccia delle previsioni, per l’estrema unzione della globalizzazione, lei dice, bisogna aspettare. Il Covid 19 ce lo ha insegnato. Anzi, per paradosso, un mondo più globalizzato ci avrebbe aiutati.

Esatto. Credo che non siamo di fronte alla fine della globalizzazione, ma a un suo cambiamento. La formula dal just in time al just in case mi sembra efficace. Ci sarà bisogno di riserve strategiche, di scorte e produzioni sotto casa per motivi precauzionali. A mano a mano che l’emergenza verrà superata, l’immensa massa di moneta, quella privata e quella creata dalle banche centrali, andrà alla ricerca di investimenti profittevoli. Si tratta allora di incanalarla verso il nuovo capitalismo. In questo potrebbero avere un ruolo importante anche i governi con politiche fiscali opportune, favorendo gli investimenti pubblici invece della spesa corrente, e con norme che rendano i mercati finanziari più fluidi, più trasparenti, meno orientati al breve periodo.

Tornando alle ingenti risorse europee che arriveranno, pensa che il Governo Conte abbia idee chiare su come utilizzarle?  

Le risorse per fronteggiare la crisi sono davvero massicce. Anche quelle che andranno all’Italia. Il governo Conte finora è stato assorbito dalla emergenza e non ha elaborato una strategia per la crescita. Ci sono tante idee e proposte spicciole. Manca una direzione di marcia. La coalizione giallo-rossa mi sembra divisa proprio su questo. Il Pd è più sviluppista, ma subisce la pressione del giorno per giorno, dei salvataggi e dei bonus a pioggia. Il M5S è ancora segnato dalla ideologia anti-industriale della decrescita, la loro idea di economia circolare è quella di una economia stagnante. Tuttavia credo che molto stia crescendo dal basso anche in Italia. Basta vedere come è cambiata la distribuzione, come si sta muovendo l’industria farmaceutica, alla ristrutturazione nei servizi bancari, allo sviluppo delle energie rinnovabili, a molte start-up che cercano di trasformare la crisi in opportunità. Tutti settori che hanno continuato a crescere nonostante il lockdown. Stanno nascendo e crescendo i soggetti del nuovo sviluppo, occorre dare loro spazio e credito.

Un capitalismo buono è quello normato. Ma, da quanto scrive, per il momento, non si intravede un’autorità ideale in grado di tracciare la giusta cornice di regole.  Né Cina, né Stati Uniti. Parla di una responsabilità orizzontale e slow. Cosa intende?

Ci vogliono più nome, più regole? Ci vogliono regole diverse, buone norme per il capitalismo buono. La strada non è mettere le braghe al mondo tanto meno seguire il protezionismo dei nazional-populisti. La versione autoritaria del capitalismo è fallita alla prova della pandemia, anche nei suoi punti alti. Né la Cina né gli USA sono in grado di assumere la leadership. Penso che attraverseremo una fase di forti turbolenze geopolitiche, ma poi verrà fuori l’esigenza di una intesa sulle nuove regole del gioco. Ho citato nel mio libro gli accordi di Bretton Woods, raggiunti nel 1944 nel pieno di una guerra che gli alleati non sapevano ancora se l’avrebbero vinta. Spero che emerga qualcosa del genere.

Pensa che contro il “mercato libero e buono” in Ue possano essere avere la meglio le spinte antiliberali di alcuni i Paesi dell’ex?

L’Unione europea dovrà aumentare la sua dimensione di potenza non solo economica, ma politica. Le forze centrifughe sono ancora presenti, ma mi sembrano in ritirata, anche all’est, tuttavia non sottovaluto la pressione nazional-populista anche nei Paesi Occidentali, Italia compresa. Nulla è scontato e guai a fare i profeti. Il mio libro si limita a raccontare quel che vedo e le sue potenzialità, non a predire il futuro, non ne sarei capace, ma sarebbe impossibile. Chi lo fa, anche tra economisti arcistar, mente sapendo di mentire. Sulla necessità di una grande alleanza , aggiungo che la crisi attuale non nasce da un fallimento del mercato, né da una caduta della domanda o dalla speculazione. E’ una crisi da offerta, provocata da un evento esterno che ha interrotto la catena della produzione. Questa catena può essere riparata e ricostruita in modo nuovo, ma non può rimanere a pezzi. Nessuno è in grado di fornire tutto ciò di cui l’umanità ha bisogno, coltivando il proprio orticello. Prima gli americani o prima gli italiani sono slogan politici senza senso. Mai il mondo è stato chiuso del tutto, lo dimostra proprio la storia delle grandi epidemie. E questa pandemia dimostra che la campana suona per tutti.

Libero mercato: a tanti l’espressione fa ancora paura. Molti hanno attribuito il Covid al mondo senza frontiere. Come convincere che del libero mercato non si può fare a meno , a patto che venga, appunto, disciplinato e che dalle sofferenze e storture può nascere qualcosa di positivo?

Lei mi chiede come convincere che il mondo senza frontiere o almeno oltre le frontiere sia migliore del mondo dentro le frontiere? Credo che la stessa lotta al Covid-19 offra molti argomenti. Prendiamo la ricerca del virus: se si procede in ordine sparso e ogni Paese cerca di fregare il suo vicino, nessuno uscirà vincitore. La scienza supera le frontiere, la volontà di potenza erige steccati. Davvero il mondo si farà abbindolare dai pifferai di Hamelin? Può darsi, è già successo, il Novecento ce lo ha mostrato. Nulla è mai prevedibile, ma il compito di chi analizza la realtà è aguzzare lo sguardo, con un proprio punto di vista, certo, ma senza paraocchi.

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Written by Cinzia Ficco

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