Due sogni: vedere la sua casa piena di ragazze e sapere che la ricerca scientifica ha sconfitto la Lafora.
Per parlarne, però, Paola P, 48 anni, toscana, trattiene a stento le lacrime. Non può permettersi di lasciarsi andare. Piangendo a dirotto, come vorrebbe fare da tanti anni, getterebbe nell’angoscia assoluta sua figlia, che non deve sapere la verità.
Dani, la sua dolce Dani, 18 anni, è all’oscuro di quanto l’aspetta e, almeno per ora, deve vivere dei ricordi più belli, quelli vissuti a scuola, con le amiche e il suo ragazzo, che mantiene nitidi e che la malattia non ha cancellato.
“No – dice Paola – non posso raccontarle che ha una malattia terribile e che con gli anni si trasformerà in un vegetale. No, la Lafora, non deve uccidere la sua speranza. Dani sa che ha una forma di epilessia particolare, per cui i ricercatori stanno facendo da anni tanti studi. Le ho detto solo questo. Ma sa, qualche volta, ho l’impressione che lei abbia capito tutto, ma che per non farmi soffrire ancora di più, non mi dica niente. Tante sue espressioni me lo fanno pensare. Ma vado avanti. Ogni giorno, quasi come un automa, che non può distrarsi e deve controllare che non arrivino le scariche potenti. Quelle che fanno andare Dani in cortocircuito”.
La malattia di Lafora è una malattia progressiva, genetica, degenerativa, molto rara e invalidante, sia a livello motorio che intellettivo. La causa è un accumulo di zucchero “anomalo” (corpi di Lafora) all’interno delle cellule cerebrali, del fegato, dell’epidermide, del cuore, che provoca la morte. La cosa sconvolgente, è che colpisce nella tarda infanzia e nell’adolescenza (10 / 18 anni). E’ caratterizzata da convulsioni e spasmi delle braccia. La sua evoluzione determina una degenerazione lenta e progressiva del sistema nervoso e un danneggiamento delle funzioni cerebrali, che conduce a uno stato di totale dipendenza del malato.
“Sino a sedici anni – racconta Paola – la mia Dani ha avuto una vita normale. Andava a scuola, ha frequentato il primo anno delle superiori. Aveva persino un ragazzo, che ha voluto lasciare quando ha cominciato a non stare bene. Alle elementari, a dire la verità, ha sempre avuto problemi di rendimento. E i maestri spesso la consideravano una ciuchina. Facevano sempre paragoni con i suoi fratelli, molto bravi. A quindici anni è diventata molto lenta nel parlare e ha cominciato a perdere la memoria. Accusava mal di testa. Aveva mancamenti. Un giorno mi spaventai, perché aveva gli occhi rivolti all’insù. Poi, le prime assenze. Con un elettroencefalogramma scoprimmo che si trattava di attacchi epilettici. Ma gli effetti della malattia erano sempre più gravi.
Dal 2006 al 2009 ho visto la mia Dani cambiare tanto. Il 15 agosto del 2009, una data che rimarrà stampata nella mia mente, la situazione è precipitata. Una scarica terribile. La più forte. Nuovi esami, altri controlli. E la scoperta terribile. Si trattava della Lafora. La sentenza dei medici è stata inclemente. Purtroppo non si guarisce. Anzi, si peggiora. Ma, è ovvio, Dani, non deve sapere niente. L’angoscia di ridursi ad un vegetale l’ammezzerebbe prima. Per questo mi impegno a cercare persone che stiano con lei, quasi sempre sola. L’unica compagnia, una radio, che tiene spesso accesa anche la notte. Nel suo cuore, il ricordo del suo fidanzatino, che non si è fatto vivo neanche al suo diciottesimo compleanno. Sì, le amiche ce le ha. Ma studiano, sono sempre impegnate. Mi sono accorta che quando è in compagnia sta meglio. Le crisi le ha soprattutto quando è a letto. Allora, capita che si bagni di pipì, senza accorgersene”.
E lei? “Dani è cosciente – spiega Paola – E si mortifica. Quando sta per arrivare una scarica, spesso diventa aggressiva, molto aggressiva. Tante volte è capricciosa ed io non so come prenderla. Però, poi, afflitta dai sensi di colpa, mi chiede perdono. Come faccio a tollerare tutto questo? Tante volte ho gridato aiuto, nella disperazione. Vedere soffrire così tua figlia, ti toglie ogni forza. Anzi, ti fa sentire piena di colpe, responsabilità.
In tutto questo, chi l’aiuta? “Mio marito – risponde- e i miei tre figli, di 26, 23 e 19 anni. I miei genitori. I servizi di zona mi mandano un’educatrice a domicilio per dieci ore, che tra breve aumenteranno ed una signora per pulire la casa. Ogni quindici giorni Dani va da una psicologa. In passato anche io mi sono rivolta a due psicologhe. Ma non ho incrociato quelle giuste. La prima, l’ho consultata quando Dani frequentava le scuole medie. Un giorno mi disse che mia figlia non si impegnava a scuola, perché era arrabbiata con me, in quanto ero rigida con lei. Era ribelle, per colpa mia. Questa era la sua posizione. L’altra, di recente, mi ha detto che mi faccio gestire dalla malattia. L’ho mollata. Ma cosa dovrei fare? Accettare in modo passivo chi ingrandisce i miei sensi di colpa? Mi creda, ce la metto tutta. Ma non è semplice. Non chiedo un miracolo per mia figlia. Sarebbe troppo per me. Vorrei solo che Dio illuminasse i ricercatori E che la mia casa si riempisse di ragazze, di tante amiche. Cosa devo fare, devo pagare per dare a Dani l’illusione di essere amata come e forse più di prima? Forse, arriverò a tanto”.
Cinzia Ficco
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