“Se alzassi il telefono, uno straccio di lavoro lo troverei. Ma non lo faccio. Sì, non avrò una pensione, ora non avrei la possibilità di chiedere un prestito in banca e non potrei correre dietro le ultima novità tecnologiche. Però, sono più che felice. Ora sì che sento di avere riconquistato la stima per me stesso”.
A parlare è Paolo Sgallini, nato nel ‘67 a Novafeltria, in provincia di Rimini, laureato in Giurisprudenza. Per tanti anni ha lavorato come responsabile dell’ufficio gare e appalti della filiale di un’azienda spagnola. Era sempre in giro per l’Italia, si muoveva a ritmi massacranti. Non poteva assentarsi quasi mai. In più spesso doveva subire le sfuriate dei capi. Un giorno, molti suoi colleghi hanno ricevuto una lettera di licenziamento. Lui no. Avrebbe potuto continuare a lavorare e a portare a casa uno stipendio per la sua famiglia: una moglie e tre bambine di otto, sette e due anni e mezzo. “Ma ho preferito – racconta- dimettermi e portare avanti con coerenza le mie idee. Non ho mai voluto che la mia felicità dipendesse dai soldi. Non ho mai desiderato esibire una macchina lussuosa o cambiare ogni anno il cellulare. Certo, mi costa fatica. Ma non tornerei indietro”. Paolo vive facendo l’artista di strada. Canta e suona la bellezza di tre strumenti contemporaneamente. Una batteria sulla schiena, una chitarra, un’armonica a bocca. One man band. Nel suo repertorio: Fabrizio De Andrè, Francesco De Gregori, Bruno Lauzi, Bob Dylan, i primi Edoardo Bennato e Pino Daniele. Pezzi di blues, country, rock, da cui rimangono fuori Ligabue e Vasco Rossi. Che non ama molto. Immancabili, nelle sue esibizioni le canzoni Dolce Nera e il Giudice di De Andrè, il suo preferito. “Sì – aggiunge Paolo- amo De Andrè più degli altri ed è proprio a lui che devo la mia rinascita. Ricordo che il giorno della mia prima uscita ufficiale, dopo le dimissioni dall’azienda, coincideva con un anniversario della morte del cantautore genovese”. E’ stato cinque anni fa, in piazza Tre martiri a Rimini. E a fare il tifo per lui c’era la sua famiglia. In realtà Paolo ha sempre amato la musica e non l’ha mai abbandonata. Ha cominciato a suonare da piccolo. Trascorreva sulla chitarra ore, tante ore ad esercitarsi, “quando – dice- gli amici andavano al cinema. Ma quell’impegno oggi mantiene me e le mie quattro donne”. A proposito delle sue donne, accettano tutte di buon grado di seguirla, quando non piove e fa freddo, nelle sue “tournées”? “Beh- replica- ha detto bene, quando le condizioni di salute e del tempo lo permettono. L’anno scorso in Baviera ho provato per la prima volta i meno ventisei gradi. Ero solo nel mio camper, quello con cui viaggio. E ho patito parecchio il freddo. Questo è uno degli aspetti negativi della mia attività. Ma esco ogni giorno, come fanno tutti gli altri per andare a lavoro”.
Sua moglie e i suoi genitori hanno accolto senza problemi la sua decisione?
Mia moglie ha condiviso subito la mia scelta. Con i miei suoceri è stato un po’ più complicato. Ma ora non fanno più storie. I miei? Loro mi conoscono da una vita. Sanno che tante volte ho fatto scelte anticonformiste. Hanno capito che sono una persona responsabile, mi impegno. Fino ad ora non ho mai saltato una rata del mutuo di casa (contratto quando era in azineda, ndr) ho sempre pagato le bollette. Possono stare tranquilli: la mia famiglia non è costretta a fare grossi sacrifici. Chiedo solo di rinunciare al superfluo. In compenso, le mie figlie potranno dire un giorno di avere avuto un padre presente. Sa, ora che faccio l’artista di strada, non ho mai perso un loro saggio scolastico. E questo è quello che conta.”
Quanto raccoglie in media ogni giorno e per quanto tempo si esibisce?
E’ ovvio, non c’è una somma fissa. Alcune volte solo 7 euro. Una volta, persino 350.
Alle spalle ha una famiglia benestante?
No. Neanche i miei suoceri sono ricchi.
Ha un mutuo sulle spalle e un giorno non potrà avere la pensione. Non pensa che tra una ventina d’anni sarà difficile fare l’artista di strada e le sue figlie le rinfacceranno una vita di stenti?
Sì, sono consapevole di tutto. Vado avanti sino a quando non mi viene un accidente. A quel punto penserò di sfruttare la patente che ho per guidare i pullman. Per il resto, le ripeto, la mia famiglia non sta facendo grosse rinunce. Il lavoro part time di mia moglie e qualche lezione privata di chitarra, che do ai bimbi della parrocchia vicino casa, ci aiutano.
Cosa vede negli occhi delle persone che l’attorniano in piazza quando si esibisce? Si è mai accorto di espressioni di invidia o di disprezzo?
E’ una gioia immensa per me vedere bambini che si accovacciano e battono le mani al ritmo delle mie canzoni. Alcuni mi chiedono come faccia ad andare avanti. Altri dicono che mi invidiano. Quelli che mi disprezzano, di solito, non si avvicinano.
Le hanno mai detto che è uno scansafatiche?
Anche se me lo dicono, non ci faccio caso. E sa perché? Il mio è un lavoro come tutti gli altri. Anche Abbado e Muti vivono di musica. Io suono in piazza e la gioia è tutta lì. E poi
E poi?
Il primo anno, quando lavoravo in azienda, ho preso un treno per Genova ogni mattina per un mese. Rientravo a Rimini alle 11 di sera. Per lei questo non è un impegno? Non è un sacrificio? Non è un lavoro? Di fronte alle difficoltà non mi tiro indietro. Le dico solo che tutto quello che faccio mi rende felice. Non ho bisogno di altro.
La piazza più calda e generosa e quella più fredda?
Guardi, quella di Rimini è molto accogliente. Ma molte volte non dipende dai cittadini. Sono i regolamenti comunali a fare la differenza. Alcuni, come quello di Napoli, da poco tutelano gli artisti di strada. Altri ne consentono l’esibizione solo per alcune ore.
Il suo sogno?
Continuare ad avere la forza di regalare una speranza ed emozioni grandi. Come mi succede quando suono a Rimini. Ogni giorno c’è uno spettatore particolare, che passa per andare a lavoro, mi saluta e mi dice: “Grazie. La tua musica riesce a spezzare la monotonia della mia giornata”. Spero solo di non ammalarmi.
Cinzia Ficco
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