Minicamere o voto a distanza? Le misure restrittive, decise con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri per fronteggiare il Covid19, sono l’anticamera di uno Stato di polizia? Come il Governo Conte sta gestendo l’emergenza sanitaria? E, sopratutto, come la sta comunicando?
Abbiamo girato queste domande a Sabino Cassese, nato ad Atripalda (Avellino), nel ’35, giudice emerito della Corte costituzionale, nonché docente di diritto amministrativo in varie università italiane e straniere.
Professore, come sta vivendo questa fase?
Rispetto le regole, anche se ho manifestato dubbi sul modo in cui sono state adottate. E mi dedico a lettura e scrittura, cioè, faccio quello che ho sempre fatto per tutta la vita. Con il vantaggio della pausa, quindi, con meno impegni, lezioni e conferenze, e l’inconveniente del pericolo che tutti temiamo e di cui non vediamo la fonte.
E, invece,come stanno reagendo gli italiani? Vede più rabbia, rassegnazione, o c’è una capacità quasi inaspettata di comprensione e adattamento?
La nostra società sta dando un ottimo esempio: nel pericolo, diventa comunità, mostra coesione – salvo casi marginali – E questo nonostante lo stato confusionale di Palazzo Chigi, da cui provengono messaggi oscuri, transeunti, contraddittori, talora irragionevoli.
Di fronte a misure altamente restrittive, decise per giunta con decreti del Presidente del Consiglio, e non con decreti legge, in tanti hanno cominciato a parlare di biopotere, nonostante si sia in piena emergenza sanitaria e molte sentenze della Corte Costituzionale riconoscano la supremazia del diritto alla vita. Ancora oggi si teme l’onda lunga di queste scelte. Paure giustificate o abbiamo anticorpi sufficienti per obbedire ora e stare tranquilli per il futuro?
Dall’inizio si è seguita la strada sbagliata. La Costituzione prevede l’avocazione al centro delle funzioni amministrative in casi di emergenza e assegna al Governo la cura della profilassi internazionale. La legge del 1978 sul servizio sanitario dispone che sia il Ministro della salute a interessarsi degli interventi in materia di epidemie. C’è un testo unico delle norme sanitarie del 1934 che regola specificamente i poteri pubblici in materia di epidemie. Nulla di questo è stato rispettato. E ora Palazzo Chigi si è anche dato la zappa sui piedi, adottando per legge le misure che prima erano state approvate con decreti del Presidente del consiglio dei ministri, quindi riconoscendo che aveva sbagliato. E seguono gli errori sui contenuti, che sarebbe lungo esporre. Non credo che vi siano pericoli di derive autoritarie. Ci sono solo manifesta ignoranza del diritto e altrettanto manifesta assenza di rispetto per il popolo, che viene tanto osannato quanto malmenato.
Tra Stato e Regioni in questo momento diventa sempre più evidente la mancanza di coordinamento. Di recente il deputato e costituzionalista, Stefano Ceccanti, ha affermato che servirebbe introdurre la clausola di supremazia dello Stato e che è giusto rivedere le competenze regionali.
Bisognava usare l’articolo 120 della Costituzione e fin dall’inizio riconoscere quello che dispone il diritto, e cioè, che le Regioni non hanno competenza in materia di epidemie e pandemie, per motivi che anche un bambino capisce: se il fenomeno è mondiale, possono affrontarlo i poteri regionali?
Pensa che dovremmo continuare per ora a dare priorità all’emergenza sanitaria o potremmo iniziare, seppure a piccoli passi, a pensare di far ripartire il nostro Paese? E per farlo abbiamo bisogno più di Europa o di un nuovo riassetto politico in Italia, tipo un esecutivo di unità nazionale?
Intanto, seguiamo le indicazioni che ci vengono dagli esperti, virologi, epidemiologi, statistici. Solo quando loro ci daranno il via libera, potremo tornare alla vita normale o quasi normale.
In attesa che la situazione torni ad un minimo di normalità, cosa dovrebbe fare il Parlamento? Meglio le minicamere o il voto a distanza, seguendo l’esempio del Parlamento europeo e della Camera in Spagna?
Si può seguire una via intermedia. Alcune attività vanno svolte in aula, altre da remoto. Ma non limitandosi al solo voto: il Parlamento deve poter esaminare, ascoltare, discutere, replicare, solo alla fine votare. Gli strumenti per fa questo ci sono, il Parlamento italiano è impreparato.
Il Covid ha cambiato molte nostre abitudini e convinzioni. Nel nostro Paese finalmente c’è più considerazione per gli scienziati. Qualcuno ha addirittura detto che la Politica sta lasciando le redini alla Scienza, nonostante il Governo abbia nominato consulente uno come Gunter Pauli, che ha correlato la diffusione del Covid-19 al 5g.
A queste persone direi: Vi farebbe piacere stare su un autobus guidato da qualcuno che non ha la patente? O essere operati da un chirurgo senza laurea?
Proiettiamoci nel futuro: come vede il nostro Paese? Il Covid 19 lascerà dei segni nel nostro stile di vita e quale dovrebbe essere la priorità del nostro Governo, una volta fuori dal tunnel?
Ne lascerà molti, di segni. E dobbiamo prepararci. Cominciare dal Servizio sanitario: va tolto dalle mani delle Regioni, perché hanno creato troppi squilibri. Poi, abbandonare l’idea che si debba riformare la Costituzione – non ce l’abbiamo fatta in più di 30 anni – e cercare, invece, di riformare davvero la pubblica amministrazione. Tutti lamentano il peso della burocrazia. Poi rifinalizzare la spesa pubblica: sanità e scuola sono i settori su cui concentrarsi prioritariamente. Infine, rendersi conto che è finita l’età dei diritti: siamo entrati nell’età dei doveri, una età nella quale il binomio doveri-diritti deve andare necessariamente insieme.
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