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TRISTETRISTE LOVELOVE

Betta: “La nostra forza? La fede"

Sono stati molto tosti.  Hanno sofferto parecchio, ma sempre con grande dignità. E alla fine, hanno avuto un miracolo. Il loro bambino, Joshua, che significa “Dio è la mia salvezza” , nato a Putignano, nel Barese,  il 9 febbraio di cinque anni fa, dato dopo i primi mesi di vita per spacciato, è guarito.

Lo desideravano molto questo figlio, Elisabetta, Betta per gli amici, e Manuel De Nicolò. Insieme da tredici anni, lui un attore di sit-com, lei, figlia di sordomuti, di cui si è presa cura fin da quando era una bambina. Ad aiutarla, nella sua crescita, tre zii con lo stesso handicap.

Il bimbo quando nasce non è sordomuto, come aveva temuto la mamma. Ma presenta qualche problema. La prima diagnosi parla di «sospetta cromosomopatia e plagiocefalia». Si ipotizza che il neonato sia down e affetto da un torcicollo congenito che lo porta a inclinare la testa verso sinistra.

Pochi giorni dopo, nella famiglia torna il sorriso: il bambino sta bene, il problema al collo è forse dovuto a «ipoplasia dello sternocleidomastoideo del  muscolo sinistro del collo», e quell’occhio semiaperto e gonfio, di cui si sono accorti, è solo un raffreddore. Ma tutto falso. Una delle palpebre non si apre, né si chiude del tutto a causa della sindrome di Horner. Dietro quell’occhio c’è già una massa tumorale: cellule maligne hanno invaso il corpicino fin dalla nascita, colpendo anche i linfonodi del collo.

Ma come fa notare Betta, da parte sua e di suo marito, c’era tanta ansia di sapere. Da parte dei medici, molta superficialità.

«Se in quei primi giorni avessero effettuato una Tac o una radiografia – dice-  e non una semplice ecografia, si sarebbe arrivati subito a una diagnosi corretta, e le terapie necessarie sarebbero iniziate allora”.

Dopo cure palliative,  i genitori si rivolgono ad un ospedale di Bari, al reparto di ortopedia e traumatologia. E ad un fisiatra di Noci. I medici dicono che la testa del bambino tende a piegarsi verso sinistra per una postura da parto. Ma il 23 dicembre del 2008, sulla tempia sinistra del piccolo Joshua compare una pallina non più grande di un nocciolo. Sarà questo episodio a salvare la vita del piccolo.

Il 29 dicembre, il bambino viene visitato privatamente e sottoposto a ecografia:  Referto: si tratta di una cisti sebacea, un banale accumulo di grasso, che potrà essere asportato al quinto anno di età da un dermatologo. Ma mamma Betta non si sente tranquilla. Per niente.

Solo quindici giorni dopo, nel gennaio 2009, la tumefazione dell’occhio sinistro aumenta e Betta e Manuel cominciano a temere per la vita del loro bambino.

Si recano all’Ospedale di San Giovanni Rotondo, la struttura sanitaria realizzata da Padre Pio. Ma per una strana coincidenza hanno i genitori la possibilità di far visitare Joshua direttamente dal Professor  Saverio La Dogana, primario del reparto di Oncoematologia, al quale basta sentire i sintomi che il bambino accusa, occhio semiaperto e bozzo alla tempia, per capire.

Dopo la Tac, la diagnosi che spezza ogni speranza: quella dei medici di San Giovanni Rotondo. Joshua ha solo cinque giorni di vita. È affetto da neuroblastoma mediastinico al quarto stadio S, con infiltrazione midollare e metastasi allo scheletro. Il tumore ha attaccato le ossa del bacino, il midollo, le ossa del cranio, il retro dell’occhio sinistro, i linfonodi del collo e stava penetrando nella parte sinistra del cervello, ed è questo, purtroppo, che spiega la posizione della testa inclinata fin dalla nascita. Dietro al polmone sinistro c’è una formazione tumorale grande sette centimetri e mezzo.

Si comincia subito  con una terapia d’attacco, un vero e proprio bombardamento: chemioterapia, autotrapianto e radioterapia.

Una battaglia contro il tumore lunga otto mesi. Inutile  parlare dell’angoscia, della disperazione di Betta e Manuel. Ma dei due Betta non riesce a versare lacrime. E’ come impietrita. E ai medici un giorno dice solo: “Affido a voi e a Dio mio figlio”».

Manuel e Betta si trasferiscono a San Giovanni Rotondo, prendono un appartamento in affitto, ma la casa di Joshua e della sua mamma sarà per mesi l’ospedale.  In isolamento per tre mesi. Paura, dolore, una tristezza infinita.

Nel frattempo Manuel, che di mestiere fa il comico, deve tornare al lavoro.

Betta si chiede il perché di tanto dolore. «Perché a me? Si ripeteva. “Ma con i giorni – fa capire – invece di essere arrabbiata,  imparo a farmi accarezzare, abbracciare da Dio.  E tutto in un ambiente, in cui vedi morire quasi ogni giorno dei bambini. Ho conosciuto Rosa, una mamma straordinaria, che ha trascorso dai 21 ai 35 anni in “via oncologia”, come chiamava lei il nostro reparto.  Assisteva sua figlia Benedetta, una quattordicenne dolcissima, che era diventata grande amica di Joshua. A marzo, Benny è morta. E il mio bambino, non vedendola più, per giorni mi ha chiesto sussurrando: “mamma, Benetta dov’è? Che dolore!” Rosa, nonostante la sua tragedia, è stata molto vicina a Betta.

Intanto Joshua comincia a rispondere in modo positivo alle cure. Dopo otto cicli di chemioterapia e l’autotrapianto del midollo, a giugno di tre anni fa il piccolo viene dimesso  dall’ospedale.

“Ci torneremo – racconta Betta-  ad agosto.  Allora sarà sottoposto a diciassette radioterapie, tutte in anestesia generale, rischiando la tiroide e il polmone sinistro. Ma quando venti giorni dopo viene dimesso, la malattia ha cominciato la sua lenta ritirata”.

Oggi Joshua, è un bambino vivacissimo.  E’ completamente guarito.  Un miracolo?

“Sì – fa capire Betta –  E qualche segno che qualcosa di grande ed inspiegabile, ci sarebbe capitato, lo abbiamo avuto un giorno. Joshua aveva appena otto mesi ed era seduto sul nostro letto. Ad un certo punto, lo sento parlottare, come se avesse davanti un  interlocutore. Joshua con chi parli?” –  gli chiedo, e lui, sorridente, si gira verso il quadro di Padre Pio, che avevamo sul letto e me lo indica con la sua manina. Un’altra volta, ancora durante il primo ricovero, il bambino si sveglia improvvisamente e guardando verso la porta della stanza, mi dice: “Mamma hai visto Pa Pio? Lui bacio mano casa”. Aveva visto il Santo, che gli aveva dato un segno: era accanto a lui e lo avrebbe portato fuori dall’ ospedale guarendolo»

Oggi Betta ed Emanuel sono devoti della Madonna di Medjugorje, dove sono stati a luglio del 2009, quando Joshua aveva 29 mesi ed era stato dimesso da poco dall’ospedale di San Giovanni  Rotondo.

“Prima di partire – racconta Betta-  il bambino non riusciva a camminare bene, i medici mi tranquillizzavano, dicendo che era dovuto alla terapia e al fatto che fosse stato per un mese a letto. Invece, appena arrivato a Medjugorje, mio figlio correva, sgambettava felice senza problemi.»

«Prima dell’autotrapianto – aggiunge –  mio figlio aveva metastasi ossee,  linfonodi profondi alla gola, alla tempia e al femore, e una massa mediastinica di 5-6 cmdi diametro dietro al polmone. Quando siamo tornati dal pellegrinaggio, la Tac ci diceva che la massa tumorale si era ridotta a poco più di tre centimetri e che il resto era scomparso. Si era miracolosamente cicatrizzato tutto”.

Restava il tumore nascosto dietro al polmone, che viene operato, a Firenze. Tanti  i rischi.

È il 27 novembre del 2009. I medici avevano previsto un intervento che sarebbe potuto durare anche sei ore, oltre ai quattro giorni in rianimazione.

Va tutto per il meglio.

“In rianimazione – dice la mamma-  è rimasto per due ore, a scopo precauzionale. Quando ha riaperto gli occhi era felice, e mi ha sussurrato di aver visto una luce bianca, le nuvole, che era stato in cielo con Gesù, che avevano riso insieme, chela Madonnavegliava in lontananza. Infine, che aveva ricevuto un regalo “grande grande”.

Joshua resta sempre sotto controllo. L’ultima terapia di mantenimento, durata sei mesi, è terminata il 20 giugno 2010 e quest’ultimo traguardo  è stata festeggiato con un bagno al mare.

A un anno esatto dal primo pellegrinaggio, nel luglio del 2010, la famiglia è tornata a Medjiugorie. Per ringraziare.

Oggi vive serena, sapendo che a vigilare sul suo bambino c’è sempre il frate di Pietrelcina. Tra breve costruiranno una statua dedicata al santo, vicino la casa dei De Nicolò.

A giocare con Joshua oggi c’è  una splendida bambina. Sana.

                                                                                                                            Cinzia Ficco

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Written by Cinzia Ficco

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